Corriere della Sera, 21 agosto 2019
Prova per la prima volta l’eroina e muore. Aveva ventitre anni
Era la prima volta che Federico Bertollo «si faceva» di eroina. «Gli aghi gli hanno sempre fatto molta paura», ricorda il fratello Andrea. E infatti, lunedì pomeriggio, a iniettargli la droga è stato lo stesso pusher che gliel’aveva appena venduta. Si chiama Ivano Sogliacchi, ha 49 anni, dice di fare il restauratore ma in passato era già finito nei guai con la giustizia. Ora è rinchiuso in una cella del carcere di Padova, accusato di spaccio e, soprattutto, di «morte come conseguenza di altro reato». Perché quella prima e unica iniezione di eroina è costata la vita al suo cliente. A incastrarlo è il referto dell’ospedale, che non lascia dubbi: «Decesso da presunta overdose da eccessiva assunzione di stupefacenti».
Ma attenzione: in realtà Federico Bertollo non aveva molto in comune con i tossici che si aggirano come zombie nelle piazze dello spaccio padovano. Aveva 23 anni, viveva a Cittadella ed era cresciuto in una famiglia dell’alta borghesia veneta: il padre medico, il fratello avvocato. E poi gli studi al conservatorio, le serate al karaoke, le recite a teatro come attore-cantante in diversi musical, e la pubblicazione di un romanzo che gli era valso il Premio letterario internazionale Montefiore. «Un bravo figliolo – assicura papà Annibale – molto sensibile e sempre pronto a schierarsi dalla parte dei più deboli».
Per capire come un ventitreenne così sia finito nella casa di Sogliacchi, con lui che gli stringe il laccio emostatico per iniettargli l’eroina, forse occorre tornare a dieci anni fa. «Da ragazzino – racconta il fratello – Federico era brillante: pieno di amici, aveva la fidanzatina ed era un bravissimo chitarrista. Un giorno, aveva 14 anni, venne investito mentre andava in bicicletta. Entrò in coma e ci restò un mese. Poi un anno di riabilitazione. Quando uscì dall’ospedale la parte sinistra del corpo non rispondeva più, camminava zoppicando». Per lui cambiò tutto. «I coetanei lo prendevano in giro, veniva bullizzato e incontrò qualche difficoltà ad accettarsi».
Federico cercò di reagire impegnandosi nella scrittura e nella musica: non potendo più suonare la chitarra, cominciò a studiare canto. E anche questo gli riusciva bene. Eppure, era come se quell’incidente se lo fosse portato via per sempre. «In breve si ritrovò a frequentare dei brutti giri», ammette il fratello.
La droga fu il passo successivo. Ci restò invischiato per un po’, prima di uscirne. «Dallo scorso anno faceva le analisi tutte le settimane, sembrava davvero aver ripreso in mano la sua vita. Era felice, aveva un lavoro in comunità, parlava di tornare al conservatorio...».
Anni difficili
L’incidente, il coma,
il tentativo di reagire
«Ma si era avvicinato
a cattive compagnie»
Il nemico sempre in agguato si chiamava cocaina. L’eroina, invece, non l’aveva mai toccata, anche per via della paura degli aghi. Fino a lunedì. Anche i carabinieri, che lunedì sera hanno arrestato Sogliacchi, ritengono probabile che fosse la prima volta che ne faceva uso. Nell’abitazione hanno sequestrato altro stupefacente oltre agli strumenti utilizzati per preparare la siringa fatale.
L’ipotesi più probabile è che il pusher abbia esagerato con la dose, ma le indagini proseguono e ora è la famiglia del ventitreenne a insistere perché si scavi più a fondo su quanto è accaduto. «In che modo Federico è stato convinto a farsi iniettare l’eroina?», si chiede Andrea Bertollo.
In paese girano strane voci. «Il medico ci ha assicurato che, se i soccorsi fossero stati chiamati prima, mio fratello oggi sarebbe vivo. Pare che lunedì in quell’appartamento non fossero presenti soltanto lui e lo spacciatore, ma anche altre persone. Chi erano? E, soprattutto, perché hanno aspettato a dare l’allarme? Forse qualcuno aveva qualcosa da nascondere. E Federico ci ha rimesso la vita».