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 2019  agosto 21 Mercoledì calendario

La politica manda in crisi le aziende che erano già in difficoltà

«Basta, ci appelliamo al presidente Mattarella. La politica si occupi dei veri problemi della gente». Via Argine a Napoli come Palazzo Madama a Roma. In queste ore tutti guardano al capo dello Stato, dagli scranni del Senato e anche dal presidio degli operai della Whirlpool: un tavolo, qualche branda e le bandiere dei sindacati che sventolano, stanche, appena passato il cancello della fabbrica circondata dal nulla della periferia napoletana. Sono accampati lì da ottantadue giorni, organizzati con gli stessi turni della catena di montaggio che, quando va, produce lavatrici. Notti comprese. Hanno anche pranzato tutti insieme a Ferragosto, pasta e braciole cucinate da un operaio diplomato all’istituto alberghiero. Ma poca voglia di festeggiare. «Ci hanno tradito tutti – dice Donato Aiello, assunto quasi trent’anni fa e, come gli altri colleghi, con lo stipendio falcidiato dalla solidarietà, 9 giorni in meno di lavoro e di paga al mese – l’azienda prima ha presentato il piano industriale e firmato un accordo al ministero poi, all’improvviso, ha detto che se ne va; il governo ci ha promesso una soluzione ma non è riuscito nemmeno ad approvare il decreto; l’opposizione ha pensato soltanto a far cadere il governo. Siamo soli come sempre e da soli ci faremo sentire. Non ci resta che reagire con forza».
La Whirlpool di Napoli è l’emblema di tutte le crisi industriali italiane, non si fa mancare niente: una multinazionale che pensa di delocalizzare dove produrre costa di meno, un governo che si fa spiazzare dalle mosse dell’azienda e interviene a tempo ormai scaduto, un territorio senza alternative, un Sud sempre più trascurato. Il vicepremier e ministro del Lavoro uscente, Luigi Di Maio, in Campania ha raccolto molti voti e gode ancora della fiducia di buona parte degli operai della fabbrica di via Argine, ma ha fatto la voce grossa troppo tardi: intanto perché la Whirlpool aveva informato i tecnici del Mise della volontà di chiudere lo stabilimento, già due mesi prima della formalizzazione. Poi perché le misure anti-delocalizzazioni, numeri alla mano, non spaventano nessuno. Infine perché il decreto che prevede 17 milioni di euro per finanziare i contratti di solidarietà, è rimasto impelagato nella crisi di governo e a questo punto non è dato sapere che fine farà. Ed appesi a quel decreto sono oltre 31 mila posti di lavoro: oltre ai 412 della Whirlpool di Napoli, i 14 mila della ex-Ilva, gli 800 della ex-Alcoa, i 700 della Blutec, i 650 precari della Anpal e i circa 15 mila lavoratori socialmente utili. «Succede quando si interviene sulle emergenze all’ultimo minuto – dice Barbara Tebaldi, della segreteria nazionale Fiom-Cgil –. Le crisi vanno governate nel tempo, facendo leva sul confronto con le parti sociali». In effetti quelle affrontate da Di Maio nel decreto (come tante altre emergenze aziendali rimaste nel cono d’ombra del provvedimento) erano squadernate sul tavolo da oltre un anno e le misure dell’ultim’ora, adottate in piena crisi politica, hanno il sapore della campagna elettorale perenne che paralizza il Paese.
Sta di fatto che la stessa Whirlpool continua agevolmente a tenere il punto fermo: «Le risorse che sarebbero nel decreto imprese – sottolinea la multinazionale americana – sono misure palliative che non possono incidere né sulla profittabilità dello stabilimento di Napoli nel lungo periodo, né sulla competitività di Whirlpool nella regione Emea, cioè Europa, Medio Oriente e Africa. Dunque, l’unica soluzione percorribile per mantenere i massimi livelli occupazionali e garantire al sito un futuro nel lungo periodo, è quella di dargli una nuova missione». Vale a dire, anche se alla Whirlpool nessuno conferma o smentisce, l’ipotizzata cessione della fabbrica napoletana alla Prs di Gian Battista Ferrario, ex manager Italcementi, già al lavoro su un progetto che prevede la produzione di frigoriferi per i camion.
«Ma se passa l’idea che in Italia non si può far cambiare idea a una multinazionale – ragiona ancora Barbara Tibaldi – allora tanto vale sciogliere i sindacati e la Confindustria...Bisogna invece dimostrare che le cose non stanno così, e che la Whirlpool è un simbolo per l’intero Paese».