la Repubblica, 21 agosto 2019
Berlusconi, Renzi, Salvini. Quando i leader diventano i peggior nemici di loro stessi
Chi troppo vuole, nulla stringe: dedicato a Salvini. Come dire, in modo anche più brutale, che in certe condizioni ci si frega con le proprie mani.
Ed è un vero guaio che “la Bestia” sovranista, così ricca di calorosi follower, sottovaluti i motti della saggezza popolare, per cui scatenare una crisi al buio in pieno agosto, e per giunta da una spiaggia, invocando i pieni poteri senza avere numeri né alleanze in Parlamento, era veramente troppo. Errore fatale e pugno di mosche: ché se il Capitano se ne stava tranquillo, senza errori da papà, ruspe ad personam, baci al crocifisso e mojiti al Papeete, ecco, magari restava ancora il leader incombente della politica italiana. Ma come ha fatto a sbagliare così facile?
Nel disastro delle idealità e delle culture politiche i proverbi sono una tale risorsa da oscurare qualsiasi social. Vedi anche: tanto va la gatta al lardo (dei sondaggi, dei selfie, dei bagni di folla estiva) che ci lascia lo zampino (del Viminale, annessi e connessi: autonomia, flat tax, farsi bello con Putin, Trump e chissà chi altri).
Si tratta di verità elementari tramandate per lo più in famiglia, ma se si sale anche un pochetto di livello non c’è testo sapienziale, dalle Sacre scritture alle tragedie greche, che non metta in guardia i reggitori dei popoli dal fidarsi eccessivamente di se stessi, o peggio della propria hybris, quell’insolente ubriacatura di dominio che irrita le divinità portandole regolarmente ad accecare coloro di cui si voglion sbarazzare. Poi ci si potrà credere o meno, però chi sta per far cascare un governo di cui è il massimo protagonista un pensierino può sempre farcelo, o no? Ecco: no. Per cui: “Sprofondano i popoli nella fossa che hanno scavato,/ nella rete che hanno teso s’impiglia il loro piede” (Salmo IX, da mandare a memoria, non bastando ad orientare la coscienza l’immaginetta della Madonna sul display del telefonino).
Ora, la crisi è ancora ben confusa e tale approccio moraleggiante può senz’altro suonare abusivo rispetto ai possibili o anzi probabili accrocchi e/o alle maggioranze Ursule che nella capitale deserta e infuocata vanno senz’altro immaginandosi. Così, su di un piano meno astruso, si può perfino arrivare a comprendere come mai, dopo quello che ha combinato, ieri Salvini se ne sia uscito con la più ovvia scusa non richiesta e la più scontata messa di mani avanti: «Rifarei tutto».
Sennonché, proprio dai passaggi cruciali dell’ultimo decennio ecco la conferma che giunti al culmine del loro successo (kairòs in greco e momentum in latino) ogni volta i leader se ne inebriano e regolarmente sbroccano per fare l’idiozia politica della vita loro. Una sequenza, una dinamica, un processo che al di là della presente congiuntura finisce per configurarsi come una di quelle “regolarità” studiate dagli scienziati della politica.
Senza farla troppo lunga, è accaduto a Berlusconi nel 2009: maggioranza fortissima in Parlamento, vento in poppa dopo aver “risolto” la crisi della monnezza a Napoli e dell’Alitalia, risultati considerevoli anche sul fronte del terremoto dell’Aquila. Il 25 aprile il Cavaliere si presenta a Onna: con un drammatico scenario di rovine alle spalle e fazzoletto partigiano al collo pronuncia un discorso di apertura all’opposizione. Molti a sinistra abboccano pure: uno statista! Due giorni dopo si presenta con tanto di fotografo a Casoria per i 18 anni di Noemi Letizia: l’inizio della fine.
Più o meno la stessa coazione autolesionistica prende possesso di Renzi nella primavera del 2014, dopo che il giovane Rottamatore, al grido “il meglio deve ancora avvenire”, guadagna il 40 e rotti per cento, record assoluto alle Europee. Bene, che ti fa il premier? Neanche fosse Erdogan, un bel referendum sul Senato che è in realtà su se stesso. Cioè scava una buca e ci casca dentro.
Da notare che in entrambi i casi il ruolo delle opposizioni è apparso del tutto secondario. Sia nell’uno che nell’altro frangente il centrosinistra e il centrodestra seguitavano a guardarsi l’ombelico e/o a litigare. Lanciati verso il futuro, conquistata la Rai e coccolati dalla massima parte dell’informazione e di quelli che con grossolana semplificazione sono detti “poteri forti”, i due leader procedono verso l’auto-disastro talmente da soli che è impossibile non solo comprenderli, ma anche, volendo, compatirli.
Ma siccome non c’è due senza tre, ecco dunque l’incredibile filastrocca di Salvini. Osservata a ritroso, sembra già un caso di scuola: il successo elettorale, anzichè consigliare misura e moderazione, ha alimentato retorica incendiaria, violenza verbale, formule scioccanti, volgarità, fughe e dinieghi dettati da pura arroganza. La droga dei sondaggi si combina con la frenesia dei social e le interminabili liturgie dei selfie a toso nudo, quindi strilli, brindisi, bacioni, monologhi a Unomattina, effusioni d’intimità con la giovane fidanzata, fino all’euforia della festa nazional-balneare e all’ideona di affondare il governo. Nessuno (forse solo l’ineffabile Giorgetti) che gli abbia detto: Matteo, Matteo, dove vuoi arrivare?
Potrebbe chiederglielo adesso il presidente Mattarella. «La storia insegna che l’esercizio del potere può provocare il rischio di far inebriare, di perdere il senso di servizio e di far invece acquisire il senso del dominio». Meglio di così non poteva dirlo, nell’ottobre scorso il Capo dello Stato a un gruppo di liceali, suggerendo anche due vie d’uscite. Una personale: senso del limite e dell’ironia; una pubblica: meccanismi di equilibrio che distribuiscono funzioni e compiti del potere tra più soggetti in modo che nessuno ne abbia troppo. Il troppo infatti stroppia, per restare ai proverbi.