la Repubblica, 21 agosto 2019
Mancano tre anni alla fine dei lavori a Novi di Modena, il paese distrutto del terremoto del 2012. Case antisismiche, classe A, pompe di calore elettriche, pannelli solari... ma sarà tutto inutile se nessuno ci tornerà a vivere. L’appello del sindaco
«Venite ad abitare qui», ve lo chiede il sindaco di questo paese ancora sottosopra per il terremoto, e ve lo chiede anche il parroco don Andrea, «il calo di nascite è evidente, quest’anno la materna ha perso due sezioni, l’elementare riuscirà a fare una sola classe invece che le solite due». Il problema è nazionale, qui si sente di più perché Novi di Modena è uno dei centri colpiti dal sisma del 20 e del 29 maggio 2012, la ricostruzione è avanti ma non è ancora finita. Fra tre-quattro anni, quando i lavori saranno finiti, si rischia di avere case scuole e asili vuoti. Tutto antisismico, classe A per il risparmio energetico, con infissi a tenuta, pompe di calore elettriche, pannelli solari, ma vuoto.
«Quindi bisogna agire adesso, non a lavori conclusi», dice il sindaco Enrico Diacci (il Comune è guidato da una lista civica di centrosinistra). Dopo sarà troppo tardi, il calo di nascite allarma, «il cambio di proporzioni tra anziani e giovani va rimesso in equilibrio», bisogna attirare in paese coppie giovani con bambini, promettendo loro servizi e una qualità della vita alta, oltre che incentivi ancora da studiare, ma che valgono già 100mila euro, già iscritti a bilancio. E come sempre succede, qualcuno brontola e si lamenta, nella piazza Primo Maggio che è un cantiere, gli operai stanno mettendo giù cavi e tubazioni, dopo diventerà come non ce l’hanno neanche a Carpi, con il wi-fi, le fontane, l’area per i giovani e quella per chi non lo è più, e rimpiange i tempi passati, cioè fino al 19 maggio del 2012, tutto andava bene, poi è arrivata la prima botta.
Nessuno ha dimenticato quei giorni, a Rovereto, che è frazione di Novi, uno sta disboscando un’area dove c’era un ristorante, restano le piastrelle del pavimento tra gli alberi, «ogni volta che passa un tir e si sente la vibrazione dalla strada, la gente scatta, ha paura», sono cose che restano dentro per sempre. Di fronte c’è la chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, abbandonata da allora, il portone che cigola nel vento caldo. Qui è morto un prete, don Ivan Martini. Dopo la prima scossa era rientrato nella sua chiesa con i vigili del fuoco, voleva recuperare la statua della Madonna e proprio in quel momento era arrivata una scossa nuova, che l’aveva ammazzato. Un mese dopo era arrivato il papa, Benedetto XVI, a commemorare quel parroco intrepido, la chiesa è rimasta come allora, storta. Per i fedeli ce n’è una minuscola, bianca e si direbbe di design. Don Andrea Zuarri, gran voglia di fare e voce tonante, «glielo dico io cosa convince una coppia di giovani a venire qui: che le case costino poco, meno che altrove. Che ci siano i servizi, asili scuole supermercato. Ma a monte, serve il lavoro». Il super c’è, le case anche, ristrutturate e con gli intonaci di colori smaglianti, rosa rosso o giallo, con i fregi bianchi, belle vecchie case rinnovate dalle cantine ai tetti. Ora si attendono 120 persone che devono rientrare in paese, tutto è pronto, basta fare il trasloco. Il vicesindaco Mauro Fabbri – anche assessore allo Sviluppo economico e bilancio – riceve nella sede temporanea del municipio, un grosso cubo color vinaccia, perché il vecchio è ancora puntellato e transennato, e tocca aspettare i tempi della Soprintendenza, giacché è vincolato come edificio storico. «La ricostruzione ti dà l’occasione di ridisegnare gli spazi, almeno nel centro storico. È un’opportunità, nella disgrazia».
C’era una torre civica, antica e simbolo del paese, crollata in 5 minuti, hanno salvato la campana, poi restaurata e in attesa della nuova torre. Tutti gli edifici pubblici erano inagibili, tranne l’asilo, tanto che il consiglio comunale si faceva sui banchetti e le seggioline da bambino. Oggi ci sono due scuole, due palestre, una tensostruttura, un polo artistico culturale, una scuola di musica, tre sale civiche, la casa dello sport. A Rovereto partiranno i lavori per le scuole, un plesso da 7 milioni e mezzo. Ma, prima del terremoto qui si era in 10mila e 974 abitanti, ora si è a 10.066 residenti. Poco. Meno 8,2 per cento. Mancano all’appello anche un 3 per cento di immigrati, che hanno scelto altri paesi, perché qui c’è ancora poco, e l’unico ristorante aperto è pieno di muratori che lavorano nei cantieri, più due turisti americani di passaggio nella Bassa, a vedere e fotografare i campanili ancora fasciati da quel dì, un simbolo anche questo. La fornaia Licia dice che i giovani non mangiano il pane, a quelli di mezza età il medico lo toglie. Io ho un centinaio di clienti al giorno, che è il minimo sindacale».
«Ma noi siamo obbligati ad avere una visione», dice il sindaco Diacci, «a creare nuovamente la fiducia nelle persone, d’altra parte abbiamo due Coop, la chiesa, la farmacia, i medici, l’asilo nido, le materne, elementari e medie». Il Comune farà «una campagna pubblicitaria, comprerà degli spazi sui giornali», si spera così, a Novi.