21 agosto 2019
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Biografia di J.K. Rowling
J.K. Rowling (Joanne R.), nata a Yate (Gloucestershire, Inghilterra) il 31 luglio 1965 (54 anni). Scrittrice. Creatrice di Harry Potter, il cui ciclo (in sette volumi, pubblicati in prima edizione dal 1997 al 2007 e tradotti in un’ottantina di lingue, incluse latino e greco antico) ha venduto oltre 500 milioni di copie nel mondo, primato assoluto per una saga. «Una serie letteraria, poi diventata serie cinematografica e infine brand, che ha fruttato alla sua autrice un patrimonio stimato in 700 milioni di sterline, 850 milioni di euro: il doppio di quello attribuito alla regina» (Enrico Franceschini). «Se qualcuno mi chiedesse la ricetta della felicità, il primo passo sarebbe scoprire quello che ti piace fare più di ogni altra cosa al mondo, il secondo trovare qualcuno che ti paghi per farlo. Mi considero davvero molto fortunata» • Ascendenze scozzesi per parte materna • «Sono nata al Chipping Sodbury General Hospital, il che mi sembra appropriato per una che colleziona nomi buffi. Mia sorella Di [Dianne – ndr] nacque solo circa due anni dopo e fu la persona che dovette sopportare i miei primi tentativi come narratrice (ero molto più grande di lei e potevo immobilizzarla). I conigli apparivano spesso nelle nostre prime sessioni racconta-storie: volevamo disperatamente un coniglio. […] Sicuramente, la prima storia che abbia mai scritto (quando avevo cinque o sei anni) era su un coniglio chiamato Coniglio. Lui si era preso il morbillo, e i suoi amici, inclusa un’ape gigante chiamata Signorina Ape, erano venuti a fargli visita. E dai tempi di Coniglio e Signorina Ape ho sempre voluto diventare una scrittrice, sebbene non l’avessi praticamente detto a nessuno. Avevo paura che mi dicessero che non avevo speranze. Traslocammo due volte nella mia infanzia. Il primo trasloco fu da Yate (appena fuori Bristol) a Winterbourne (dall’altra parte di Bristol). Io e mia sorella eravamo solite giocare con un gruppo di bambini su e giù per la strada a Winterbourne. Due membri del gruppo erano un fratello e una sorella il cui cognome era Potter. […] Quando avevo nove anni, ci trasferimmo a Tutshill vicino a Chepstow, nella Foresta di Dean. Eravamo finalmente in campagna, che è sempre stato il sogno dei miei genitori, dato che erano entrambi londinesi. Mia sorella e io passavamo la maggior parte del tempo a vagabondare, senza essere sorvegliate, attraverso i campi e lungo il fiume Wye. L’unico neo era il fatto che odiavo la mia nuova scuola. Era un posto molto piccolo e molto all’antica, dove i banchi con alzata avevano ancora il foro per la boccetta dell’inchiostro. La mia insegnante, la signora Morgan, mi spaventava a morte. […] La signora Morgan posizionava tutti nella classe a seconda di quanto intelligenti pensava che fossero; i più brillanti sedevano alla sua sinistra e tutti quelli che pensava fossero ottusi sedevano sulla destra. Io ero quanto più a destra era possibile senza andare a finire nel cortile. Alla fine dell’anno ero stata promossa alla seconda fila sulla sinistra». «Tre libri che ho letto da bambina mi sono rimasti in mente. Uno è Il cavallino bianco, di Elizabeth Goudge, che è stato probabilmente il mio libro preferito da piccola. Il secondo è Manxmouse, di Paul Gallico, che non è il libro più famoso di Gallico, ma che penso sia fantastico. Il terzo è Grimble, di Clement Freud. Grimble è uno dei libri più divertenti che abbia mai letto, e Grimble stesso, che è un ragazzino, è un personaggio favoloso». «Dopo la scuola elementare di Tutshill andai alla Wyedean. […] Ero tranquilla, lentigginosa, miope e una schiappa negli sport (a quanto ne so, sono l’unica persona che è riuscita a rompersi un braccio giocando a netball). La mia materia preferita in assoluto era l’inglese, ma mi piacevano anche le lingue straniere. Raccontavo ai miei amici, tranquilli e studiosi come me, delle lunghe storie a puntate durante il pranzo. Di solito ci vedevano tutti compiere azioni eroiche e audaci che non avremmo certo compiuto nella vita reale: eravamo tutti troppo secchioni. […] Diventai meno tranquilla quando maturai. Tanto per cominciare, iniziai a mettere le lenti a contatto, che diminuirono la mia paura di essere colpita in faccia. Scrissi molto durante la mia adolescenza, ma non mostrai nessuno dei miei scritti ai miei amici, a eccezione di alcune storie divertenti che, di nuovo, ci rappresentavano come personaggi un po’ mascherati. […] Subito dopo la scuola andai all’università di Exeter, dove studiai francese». «“Sono andata all’università di Exeter per quattro anni, incluso un anno in cui ho insegnato inglese a Parigi, che mi è piaciuto moltissimo. All’inizio Exeter è stata un po’ uno shock. Mi aspettavo di trovarmi tra molte persone simili – con idee radicali. Ma non è stato così. Comunque, una volta fatta amicizia con persone che la pensavano come me, ho iniziato a divertirmi. Anche se non penso di aver lavorato tanto quanto avrei potuto”. Perché ha scelto di studiare lingue quando amava così tanto la letteratura inglese? “È stato un po’ uno sbaglio. Certamente non facevo tutto quello che mi dicevano i miei genitori, ma penso di essere stata influenzata dal loro pensiero che conoscere le lingue sarebbe stato meglio per trovare un lavoro. Non è che lo rimpianga amaramente, ma è stata una decisione strana per una che voleva veramente solo diventare una scrittrice. Non che avessi il coraggio di dirlo a qualcuno, ovviamente”. Dov’è andata una volta laureata? “Questo è stato un errore ancora più grande. Sono andata a Londra a fare un corso per segretarie bilingue”» (Lindsey Fraser). «Sfortunatamente, io sono una delle persone più disorganizzate del mondo e, come dimostrai, […] la peggiore segretaria in assoluto. L’unica cosa che mi piaceva del lavorare in ufficio era riuscire a dattilografare le mie storie quando nessuno vedeva. Non prestavo molta attenzione nelle riunioni perché di solito scribacchiavo pezzi dei miei ultimi racconti sui margini del notes o sceglievo nomi perfetti per i personaggi. Questo è un problema se si suppone che tu debba tenere i verbali delle riunioni». «Quando fu la prima volta che le venne in mente l’idea di Harry Potter? “Il mio ragazzo si stava trasferendo a Manchester e voleva che mi trasferissi anch’io. Fu durante il viaggio di ritorno in treno da Manchester a Londra, dopo un week-end passato a cercare un appartamento, che Harry Potter fece la sua apparizione. Non ho mai provato un tale impeto di eccitazione. Capii immediatamente che sarebbe stato divertentissimo da scrivere. Allora non sapevo che sarebbe stato un libro per bambini – sapevo solo che avevo questo ragazzino. Harry. Durante quel viaggio scoprii anche Ron, Nick-Quasi-Senza-Testa, Hagrid e Pix. Ma, con l’idea della mia vita che mi frullava per la testa, non avevo una penna che funzionasse! E non andavo mai da nessuna parte senza la mia penna e il mio notes. Quindi, invece di cercare di scriverlo, dovetti pensarlo. E penso che questa sia stata una cosa positiva. Ero assediata da una montagna di dettagli, e se non fossero sopravvissuti a quel viaggio probabilmente non sarebbe valsa la pena di ricordarli. La Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts fu la prima cosa su cui mi concentrai. Pensavo a un posto di grande ordine ma pure di immenso pericolo, con bambini che avevano abilità con le quali potevano stupire i loro insegnanti. Logicamente doveva essere ambientato in una zona appartata, e presto lo ambientai in Scozia, nella mia mente. Penso che sia stato un inconscio tributo al luogo dove i miei genitori si sono sposati. […] Così tornai all’appartamento quella notte e iniziai a scrivere tutto in un piccolo, economico notes. Scrissi le liste di tutte le materie che si dovevano studiare – sapevo che dovevano essere sette. I personaggi vennero per primi, e poi dovetti trovare nomi che si adattassero loro. […] La questione principale era scoprire perché Harry fosse dov’era, perché i suoi genitori fossero morti. Lo stavo inventando, ma mi sentivo come se stessi facendo una ricerca. Alla fine di quel viaggio in treno sapevo che doveva essere una serie di sette libri. So che questo è estremamente arrogante per una che non aveva mai pubblicato niente, ma è così che mi venne in mente. Mi ci vollero cinque anni per pianificare la serie, per decidere la trama di ognuno dei sette romanzi”. […] Ha lasciato il lavoro per scrivere i libri? “Oh, no! Mi trasferii a Manchester e lavorai per la Camera di commercio di Manchester – per poco tempo, perché fui licenziata quasi subito. Poi andai a lavorare all’università, ma ero veramente molto infelice. Mia madre morì circa un mese dopo che mi ero trasferita. E poi ci svaligiarono, e rubarono tutto ciò che mia madre mi aveva lasciato. La gente fu incredibilmente gentile e amichevole, ma decisi che volevo andarmene. Sapevo che mi era piaciuto insegnare inglese come lingua straniera a Parigi e pensai a come sarebbe stato andare all’estero, insegnare un po’, portarmi dietro il mio manoscritto, prendere un po’ di sole… Così andai a vivere a Oporto in Portogallo, insegnando a studenti dagli otto ai 62 anni. […] Dopo sei mesi, incontrai il mio futuro marito, un giornalista. Ci sposammo, e l’anno successivo avemmo Jessica, appena prima del mio ventottesimo compleanno. Quello fu, senza dubbio, il momento migliore della mia vita. A quel punto avevo completato i primi tre capitoli di Harry Potter e la pietra filosofale, quasi esattamente come appaiono nel testo pubblicato. Il resto del libro era solamente un abbozzo”. Perché si trasferì a Edimburgo? “Divenne chiaro che il matrimonio non stava funzionando, e decisi che sarebbe stato più facile se fossi ritornata in Gran Bretagna. […] Tornai a Edimburgo per stare con mia sorella per Natale, e pensai: posso essere felice qui. E lo sono stata. […] Forse era il mio sangue scozzese che mi richiamava a casa”. Come ha continuato a scrivere? “Decisi di tornare a insegnare per guadagnarmi da vivere, ma prima dovevo procurarmi un’abilitazione – un certificato post-laurea in Insegnamento. Questo avrebbe richiesto un anno, quindi sapevo che, se non avessi fatto uno sforzo per finire il libro in quel momento, probabilmente non l’avrei mai finito. Feci uno sforzo immenso, sovrumano. Mettevo Jessica nel passeggino, la portavo al parco e cercavo di farla stancare. Quando si addormentava, correvo in un caffè e scrivevo. Non tutti i bar approvavano che stessi seduta per un paio d’ore consumando solo una tazza di caffè. Ma mio cognato aveva appena aperto un locale di sua proprietà – Nicolson’s –, e pensai che forse mi avrebbero accolta bene. Stavo attenta ad andarci quando non erano occupati, e i camerieri erano molto gentili. […] Quindi il mio primo libro fu terminato da Nicolson’s. […] Nei fine settimana andavo con circospezione all’università per poter usare i computer, e lì scrivevo, con Jessica ai miei piedi assorta nei suoi puzzle. Il primo agente a cui inviai il manoscritto me lo rimandò indietro. Il primo editore a cui lo spedii me lo rimandò indietro. Allora ricominciai da capo. Il secondo agente, Christopher Little, accettò di occuparsene. La lettera che mi scrisse è una delle più simpatiche che abbia mai ricevuto. Passò un anno prima che si trovasse un editore”» (Fraser). Dopo ben dodici rifiuti, il manoscritto giunse alla Bloomsbury, una piccola casa editrice per l’infanzia il cui fondatore e amministratore delegato, Nigel Newton, decise di sottoporre il libro a sua figlia Alice, all’epoca di otto anni. Così Newton, in un’intervista rilasciata a la Repubblica, ha raccontato quanto accadde: «“Mia figlia, dopo essersi rinchiusa in camera sua, corse a dirmi che non aveva mai letto niente del genere. Era rapita, conquistata, affascinata: così tanto che insistette per leggermene subito alcune pagine ad alta voce”. E a questo punto lei che fece? “Il mattino seguente tornai in casa editrice e dissi che lo avremmo acquistato. Offrimmo 1.500 sterline, che dopo un po’ di tira e molla con l’agente diventarono 2.500. Una cifra irrisoria, con il senno di poi. Ma eravamo una piccola casa editrice, da me creata dieci anni prima con una specie di colletta tra investitori amici, per cui andavamo cauti con le spese”. La prima tiratura, anche questo è un dettaglio entrato nel mito, fu di poche centinaia di copie. “Cinquecento, per la precisione”» (Enrico Franceschini). Su suggerimento dell’editore, che, temendo che un nome femminile in copertina potesse scoraggiare i potenziali lettori maschi, l’aveva esortata a usare due iniziali in luogo del proprio nome di battesimo, l’autrice, sprovvista di secondo nome, decise di omaggiare la nonna paterna, Kathleen: Harry Potter e la pietra filosofale fu pertanto firmato «J.K. Rowling». «Quando Bloomsbury accettò di pubblicarlo fu sicuramente il secondo momento migliore della mia vita dopo la nascita di Jessica. L’anno successivo […] usciva il libro. Girai tutto il giorno con una copia sotto braccio. Quando lo vidi per la prima volta in una libreria mi venne una voglia matta di farci una dedica. Fu un momento straordinario. Jessica era in grado di decifrare soltanto due parole, “Harry” e “Potter”, e le urlava a tutti i librai. Ero certa che mi sospettassero di averla spinta a farlo». Ancora Newton: «“Lo pubblicammo il 26 giugno 1997. Si capi immediatamente che funzionava, ma non quello che sarebbe diventato. A Natale aveva raggiunto le 30 mila copie vendute: già un grande risultato per un libro di un’esordiente, ma non ancora un evento senza precedenti”. Quando si accorse di avere in mano una miniera d’oro? “Il libro continuava a crescere, diffuso dal passaparola che gli facevano i suoi lettori: cioè altri bambini come mia figlia Alice. Un anno più tardi, nel giugno ’98, arrivò a 100 mila copie. Un anno dopo, giugno ’99, a 1 milione. Fu quello il momento in cui compresi che era qualcosa di unico, di straordinario”. Come hanno influito i film che ne sono stati tratti? “Il primo film uscì tre anni dopo la pubblicazione del primo libro. Ampliò il tipo di lettori: se prima Harry Potter vendeva nelle librerie e in certe aree urbane, il cinema portò il libro nei supermarket, tra un pubblico più ampio e generico, dappertutto. Trascinato dal film, Harry Potter e la pietra filosofale tornò al numero 1 della classifica dei bestseller. Ma qualche settimana dopo al numero 1 arrivò anche Harry Potter e la camera dei segreti; e dopo qualche altra settimana fu il terzo libro della serie, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, ad andare in vetta. Insomma, i film crearono un effetto a cascata, perché la gente correva a leggere il primo libro della serie, poi voleva leggere il secondo, quindi il terzo, e così via”. E nel frattempo c’erano state le traduzioni. “Le prime in Europa: in Germania, Italia, Francia. Poi, in tutto il mondo”» (Franceschini). «Già il primo dei volumi, Harry Potter e la pietra filosofale, quello dove il protagonista è ancora un bambino e la scrittura più semplice, riscosse un successo straordinario. […] Il pubblico di Harry Potter è subito trasversale, e cattura bambini, adolescenti ed adulti. […] Una vera magia che incanta milioni di persone nel mondo, confermata dal secondo volume Harry Potter e la camera dei segreti (1998); successo planetario anche per il terzo Harry Potter e il prigioniero di Azkaban (1999), un libro in cui l’autrice raggiunge anche una notevole maturità letteraria. Nel Duemila la saga è diventata un fenomeno globale indiscusso. […] Il ciclo letterario si chiude il 21 luglio del 2007 con Harry Potter e i doni della morte, il libro più venduto [cioè il più rapidamente venduto – ndr] nella storia dell’editoria: 72 milioni di copie nel primo fine settimana. […] Per anni i fan hanno atteso l’uscita tutta la notte davanti alle librerie, e dal 2001 la saga si è trasferita con grande efficacia anche sul grande schermo, diventando una serie di otto film, che hanno segnato il record d’incassi di tutti i tempi in dieci anni (dal 2001 al 2011) e che hanno visto crescere gli attori con i loro beniamini» (Elisabetta Stefanelli). «Tra libri (oltre mezzo miliardo di copie nel mondo: 160 milioni nei soli Stati Uniti), film hollywoodiani (6,25 miliardi di euro incassati al botteghino), merchandising, Harry è una macchina da soldi destinata, probabilmente, a non finire mai (o, almeno, finché non ne scadranno i diritti d’autore)» (Matteo Persivale). Conclusa la saga del giovane mago, negli ultimi anni la Rowling ha scritto romanzi per adulti, iniziando nel 2012 con Il seggio vacante, storia di conflitti sociali e generazionali sullo sfondo di un villaggio inglese di campagna (regolarmente firmata «J.K. Rowling»), e proseguendo l’anno successivo con Il richiamo del cuculo, firmato però con lo pseudonimo di Robert Galbraith, «nome scelto, sembra, perché grande ammiratrice di Bobby Kennedy, e perché da bimba amava farsi chiamare Ella Galbraith» (Gian Luca Bauzano). «J.K. Rowling si è sottoposta a una prova del fuoco (mai farlo). Nascosta dietro lo pseudonimo Robert Galbraith, ha pubblicato un libro per vedere cosa succedeva: “C’era un incredibile carico di pressione nell’essere la scrittrice di Harry Potter… quindi potete capire il fascino di creare qualcosa di completamente diverso e lasciare che stesse in piedi o fallisse per i suoi specifici meriti”, ha confessato poi in un’intervista. Ma il thriller Il richiamo del cuculo […] è stato un flop: a tre mesi dalla pubblicazione non aveva superato le 1.500 copie. È bastato rivelare chi fosse l’autrice per vendere 7,5 milioni di copie in una sola mattina» (Raffaella De Santis). Fu l’inizio di un nuovo ciclo di libri, imperniato su Cormoran Strike, tormentata figura di investigatore privato e veterano di guerra, protagonista, negli anni successivi, di altri tre romanzi, Il baco da seta (2014), La via del male (2016) e Bianco letale (2018) – in Italia pubblicati presso Salani, come tutti i libri della Rowling –, salutati da un discreto successo, in ogni caso non comparabile a quello riscosso dalla saga di Harry Potter. Parallelamente, la Rowling ha debuttato nelle vesti di sceneggiatrice e produttrice cinematografica per una nuova saga, ispirata a Gli animali fantastici: dove trovarli (2001), romanzo costituito nella finzione letteraria da un libro di testo di Harry Potter, di fatto prologo delle sue avventure: della serie, di cui sono previsti cinque film, sono finora usciti nei cinema Animali fantastici e dove trovarli (2016) e Animali fantastici – I crimini di Grindelwald (2018); il terzo capitolo dovrebbe essere distribuito nel novembre 2021 • «Nel 2008 Rowling viene invitata a tenere il discorso per la cerimonia di laurea di Harvard. Decide di parlare di due temi: i benefici del fallimento e l’importanza dell’immaginazione. La sua prolusione viene pubblicata in Italia, tradotta […] con il titolo Buona vita a tutti. […] Afferma che non occorre la magia per trasformare il mondo. Ma avere il coraggio di fallire. Fondamentale come aver successo. Aiuta a guardarsi allo specchio. E rimettersi in gioco» (Bauzano) • Oltre a Jessica Isabel (1993), nata dal primo marito, il giornalista portoghese Jorge Arantes, la Rowling ha altri due figli, David Gordon (2003) e Mackenzie Jean (2005), nati dal secondo e attuale consorte, il medico scozzese Neil Murray, con cui vive in Scozia, in una residenza settecentesca • «La mia, per molti versi, è una vita normale, persino noiosa. Mi piace cucinare e starmene a casa con i miei due figli più piccoli. Nella mia vita privata nessuno mi conosce come J.K. Rowling. Uso il cognome di mio marito. Ma talvolta indosso un vestito alla moda, vado a una prima cinematografica o alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi e ridivento J.K. Rowling. Mi piace tenere separati questi due aspetti della mia vita» • Progressista e filoisraeliana, si è più volte mostrata critica verso l’attuale segretario laburista Jeremy Corbyn, accusandolo di antisemitismo • Contraria sia all’uscita della Scozia dal Regno Unito sia all’uscita del Regno Unito dall’Unione europea • Grande impegno filantropico. «Forte del successo di Harry Potter, la scrittrice britannica ha creato un ente benefico che opera nel mondo per migliorare le condizioni di vita di piccoli orfani, abbandonati e diversamente abili che sono in cura presso istituti dove non ricevono le attenzioni di cui avrebbero bisogno. […] L’obiettivo di Lumos [la sua associazione – ndr] è di creare iniziative nelle comunità che sostengano le famiglie finanziariamente e psicologicamente con il fine di permettere a minori che altrimenti finirebbero in orfanatrofi e strutture simili di crescere in casa, con i genitori, quando ci sono, o gli zii, i parenti e famiglie allargate» (De Carolis) • «I polizieschi sono il suo piacere letterario proibito: “Adoro un buon libro di Dorothy L. Sayers”» (Decca Aitkenhead) • «Da quando ha pubblicato il primo libro di Harry Potter, Rowling è diventata al contempo famosa in tutto il mondo e pressoché irriconoscibile. La trasandata signora dalla capigliatura rossa che aveva l’abitudine di scrivere nei bar di Leith poco alla volta si è trasformata in un’appariscente bionda molto elegante, enigmatica nell’inespugnabile bagliore di ricchezza e autocontrollo. […] Mentre scriveva il primo libro di Harry Potter è stata in terapia. “E ho dovuto tornarci quando la mia vita è cambiata così all’improvviso. Mi è stato davvero utile. Sono una grande sostenitrice dell’aiuto terapeutico. A me ha fatto molto bene”. L’altra àncora di salvezza le è arrivata dal secondo marito, Neil Murray. […] “Quando ho conosciuto Neil, è stato come se egli pervadesse ogni parte di me. Ha cambiato la mia vita. Ma, prima di quel momento, ritrovarmi da sola con una bambina piccola e tutto il resto, fu…” – cerca le parole, e decide di minimizzare – “difficile”» (Aitkenhead) • «Soltanto una volta ha dovuto far ricorso a un travestimento per uscire senza essere riconosciuta, ma lo ha fatto per andare ad acquistare l’abito da sposa. “Volevo soltanto riuscire a sposare Neil senza che si creasse troppo insulso scalpore”. Non è disposta a dirmi come si è travestita, “nel caso in cui debba rifarlo”, ridacchia» (Aitkenhead) • «Sul mercato anglosassone la produzione editoriale è in mano a Bloomsbury, Scholastic e HarperCollins. Ma saggiamente Rowling ha mantenuto il controllo sulla vendita degli e-book e degli audiolibri (per tutte le tasche, da 2 a 200 sterline), che commercializza lei stessa attraverso il sito www.pottermore.com, lanciato nel 2011. Come, direttamente, cura il suo dialogo con i fan sui social media (che non esistevano al tempo delle prime partenze dei treni diretti alla scuola di magia di Hogwarts dal binario 9 e ¾ della stazione londinese di King’s Cross). […] Nel favoloso mondo di Joanne Rowling, da qualche anno sono spuntati anche i parchi a tema “The Wizarding World of Harry Potter” a Orlando, Hollywood e Osaka, altra fabbrica di soldi, gestiti dalla Universal» (Stefania Ulivi) • «In una pagina qualsiasi, scelta del tutto a caso nel primo libro di Harry Potter, sono riuscito a trovare ben sette luoghi comuni» (Harold Bloom) • «Alcuni nomi nei libri di Harry Potter li ho inventati, ma colleziono anche nomi strani. Li prendo da santi medievali, mappe, dizionari, piante, monumenti ai caduti e persone che ho incontrato». «Spesso, le persone reali mi ispirano un personaggio, ma una volta che sono dentro la tua testa iniziano a diventare qualcosa di totalmente diverso. Il professor Piton e Gilderoy Allock sono entrambi versioni esagerate di persone che ho conosciuto, ma sono diventati molto diversi una volta portati sulla pagina. Hermione è un po’ come me quando avevo undici anni, sebbene sia molto più intelligente». «Non ho consapevolmente basato sulla mia vita nulla dei libri di Harry Potter, ma, ovviamente, questo non vuol dire che i tuoi sentimenti non scivolino dentro comunque. Quando ho letto il capitolo dodici del primo libro, "Lo Specchio delle Brame", ho visto che ho dato a Harry molti sentimenti sulla morte di mia madre, sebbene non ne fossi consapevole quando lo stavo scrivendo» • «Mi piace ancora scrivere a mano. Normalmente faccio una prima bozza con carta e penna, e poi correggo una prima volta quando batto a computer. Per qualche ragione, preferisco di gran lunga scrivere in nero invece che in blu, e, in un mondo perfetto, userei sempre carta a righe strette. Ma ero famosa per scrivere su ogni sorta di cose strane quando non avevo un notes con me. I nomi delle Case di Hogwarts li ho creati sul retro di un sacchetto per il vomito di un aereo. Sì, era vuoto» • «Non ho mai pianto per niente e per nessuno, tranne che per la morte di mia madre, come quando ho finito di scrivere di Harry Potter. Per nessun uomo o ragazzo ho pianto come quando ho messo fine alla sua storia, per tutto ciò che ha significato per me, per come ha cambiato la mia vita. Ricevo continue sollecitazioni a scrivere ancora su di lui, ricevo centinaia di lettere alla settimana dai suoi fan con richieste e perfino suggerimenti per nuovi spunti. Ma al momento non ho piani di scrivere un altro romanzo su Harry. Sono piuttosto sicura di avere chiuso su questo fronte» • «Sono sicura che scriverò sempre. Almeno finché non comincerò a dare i numeri».