il Fatto Quotidiano, 20 agosto 2019
Intervista ad Arrigo Sacchi
Scusi Arrigo Sacchi, ma trent’anni dopo vuol farci credere che il suo Milan sia ancora attuale?
I concetti sono gli stessi, ma il calcio deve aggiornarsi ed evolversi. Solo in Italia pensiamo di fermare il tempo.
Dunque, in qualche modo, c’è da preoccuparsi.
Io parto da un dato. L’Uefa ha eletto il Milan del 1989 miglior squadra di club di tutti i tempi. Insieme con Luigi Garlando della Gazzetta dello Sport ne abbiamo fatto un libro (La Coppa degli Immortali, Baldini+Castoldi) che ha già venduto 30 mila copie in quattro edizioni. Dentro c’è tutto: i miei appunti di prima e dopo la partita, gli allenamenti, i metodi di apprendimento, i valori e la squadra. Formata da giocatori bravissimi, anche se nessuno di loro prima aveva vinto una Coppa dei Campioni, né era arrivato almeno in semifinale.
Si può definire etico ed estetico il suo calcio e quello che vorrebbe vedere?
Certamente. Etica del lavoro, del collettivo, della bellezza, dell’emozione, anche della cultura. Un calcio che cerchi di non escludere nulla e nel quale il merito non può mancare.
La Juve ha ingaggiato Maurizio Sarri come allenatore. Pensa sia una scelta coerente?
È molto diversa rispetto alla storia del club e alla sua tradizione. Spero che non si siano fatti trascinare dalla moda. Se la società avrà pazienza e convinzione, Sarri ce la farà. Altrimenti sarà dura.
C’erano maggiori perplessità quando Berlusconi le diede in mano il Milan.
È vero, ma quella squadra non vinceva uno scudetto da dieci anni e la stagione precedente era arrivata quinta. Il campione era Gullit perché Van Basten, il primo anno, fece solo tre partite. E dal mercato erano arrivati Colombo dall’Udinese retrocessa, Ancelotti che aveva il 20 per cento di invalidità a una delle due ginocchia e a Roma dicevano che era una sòla, tre ragazzi dalla B, Bianchi, Bortolazzi e Mussi che avevo portato io dal Parma, uno dalla Serie C che era Costacurta. Insomma niente di eclatante.
Invece Sarri ha Cristiano Ronaldo e una squadra che ha conquistato otto scudetti consecutivi. Non crede che già il Chelsea dell’anno scorso fosse meno bello del suo Napoli?
Sì, è così. Il calcio non è la somma di valori individuali. È un’idea di lavoro in sinergia. E la sinergia ti permette livelli che individualmente non sarebbero possibili. Al Chelsea, Sarri non aveva la qualità collettiva del Napoli, ma grandi individualisti. Prendiamo il mio Milan, l’Ajax o il Barcellona di Guardiola: collettivi in continua evoluzione in cui i giocatori erano tutti capaci di interpretare la fase offensiva e quella difensiva, erano polivalenti e uniti da un filo invisibile che è il gioco.
Lei divide il calcio in strategia e tatticismo.
Sun Tzu, autore de L’arte della guerra, scriveva: una tattica senza strategia già profuma di sconfitta. E noi in Italia abbiamo tanti tattici e pochi strateghi.
Immagino che lei consideri Antonio Conte uno stratega. Tuttavia di lui ha detto: “Deve essere meno tattico”.
Conte è un grande stratega, ha solo bisogno di credere un po’ più in se stesso.
Sinceramente mi sembra abbia già adesso un’alta considerazione di sé e delle proprie idee.
Antonio dà la vita al calcio, è intelligente e lavoratore. Quando era calciatore si trascriveva tutti gli allenamenti che io facevo in Nazionale. Ha l’ossessione della perfezione. Ma – come diceva Pavese – non c’è arte senza ossessione.
Allora qual è il problema?
Non c’è problema perché il suo gioco è organizzatissimo. A volte, però, perde un giocatore di troppo nella fase difensiva. In Italia non ce ne accorgiamo, ma quando si gioca in campo internazionale questo conta.
Allegri cos’è?
Un tattico naturalmente. Forse il più bravo o tra i più bravi.
Se lo stratega mette l’idea davanti a tutto, il tattico su cosa punta?
Principalmente sulle opportunità che l’avversario ti concede. Oltre, naturalmente, alla qualità individuale.
Quando lei allenava, i giornalisti erano divisi in sacchiani e anti-sacchiani. A posteriori sembra che la critica sia più disposta a riconoscerle le innovazioni apportate nel calcio. Significa che la categoria è cambiata?
Un po’ sì, ma meno di quanto sarebbe necessario. Siamo un popolo di arrivisti nel Paese delle scorciatoie. E nel calcio abbondano scorretti e incompetenti, condizionati dal risultato. Quando allenavo l’Atletico Madrid battemmo il Celta, allora capoclassifica, in nove contro undici. La partita, però, non fu di qualità e, nonostante la vittoria, venimmo giustamente criticati. In Italia saremmo stati definiti eroici, lì si aspettavano anche il gioco. Io credo che senza critica non ci sia crescita.
In questo clima di incandescenze politiche qualche settimana fa si è fatto fotografare al mare con Matteo Salvini.
Conosco Salvini da una vita, passavo di lì per caso, è stato un abbraccio tra due milanisti. Ma io non voto per la Lega.
E per chi?
Fino a quando ci sarà Berlusconi lo voterò sia per amicizia sia per riconoscenza. E poi nella sua vita ha dimostrato di non essere uno qualsiasi.