il Fatto Quotidiano, 20 agosto 2019
Intervista a Di Pietro a un mese dalla morte di Borrelli
Francesco Saverio Borrelli, il gran custode di Mani Pulite, se n’è andato un mese fa, il 20 luglio. Antonio Di Pietro, che di Mani Pulite fu il motore, ora lo ricorda con parole piene di commozione e di gratitudine. “Ho sempre avuto rispetto e stima per Borrelli. Per la persona e per la sua funzione. Insieme abbiamo fatto Mani Pulite. Ma confidenza con lui non l’ho mai avuta. Ci siamo sempre dati del lei. Fino all’ultimo incontro, un paio d’anni fa: l’unico momento d’intimità tra noi”.
Che cosa successe in quell’incontro?
Era un pranzo organizzato da un avvocato che qui ora voglio ringraziare. Borrelli mi voleva vedere, dopo che io avevo chiuso la mia esperienza politica. Pensavo mi volesse rimproverare per qualcosa. Invece parlammo a lungo, in un ristorante vicino alla Scala, e alla fine mi abbracciò e mi disse: ‘Antonio, ti voglio ringraziare per quello che hai fatto per il Paese e la giustizia’. Non mi aveva mai chiamato Antonio.
Durante Mani Pulite avete avuto anche rapporti tesi…
Abbiamo sempre avuto rapporti professionali. Borrelli non sapeva dove sarebbe arrivata l’inchiesta, ma l’ha sempre difesa. Non ha fermato o frenato il suo sostituto procuratore, come altri capi facevano, l’ha anzi difesa, supportata, sviluppata, dandomi rinforzi: i colleghi Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo. E ci ha messo la sua faccia. Io per questo sono commosso e orgoglioso.
Agli inizi dell’indagine, quando fu arrestato per primo Mario Chiesa, Borrelli non credeva che lei sarebbe arrivato a scoprire il sistema della corruzione su cui si reggeva la Prima Repubblica.
No. Borrelli in principio pensava che, dopo l’arresto in flagrante di Chiesa con la tangente nel cassetto, la vicenda si sarebbe chiusa in 15 giorni con un processo per direttissima al solo Chiesa. Invece io ho lasciato scadere i termini – quel giorno non mi sono fatto vedere a palazzo di giustizia – per sviluppare l’indagine e allargarla ad altri fatti. Ma Borrelli si è subito assunto la responsabilità di difendere il lavoro del suo sostituto e del suo ufficio.
Non avete mai avuto, negli anni di Mani Pulite, momenti di confidenza?
Parlavamo solo di lavoro e solo in ufficio. Sono andato a casa sua poche volte. Ricordo un incontro con Gian Carlo Caselli e i suoi collaboratori Antonio Ingroia e Guido Lo Forte, dopo la morte di Paolo Borsellino: per parlare del sistema delle tangenti che, oltre alle imprese del Nord, in Sicilia coinvolgeva anche la mafia.
Dopo le sue dimissioni da magistrato, nel 1994, alla vigilia dell’interrogatorio di Silvio Berlusconi, Borrelli però era furioso con lei.
Io ho dovuto dimettermi per difendere l’inchiesta. Dopo aver rifiutato la proposta di Berlusconi che mi voleva fare ministro, ho capito che avrebbe trovato un’altra strada per fermarmi. Borrelli allora non sapeva del dossieraggio contro di me. Io invece avevo capito che stavano lavorando per inquinare le indagini e potermi arrestare, attraverso la Procura di Brescia. Così avrebbero fermato Mani Pulite. Il pm di Brescia Fabio Salamone mi aveva messo nel mirino indagando personalmente su di me, nonostante io avessi indagato su suo fratello, il costruttore siciliano Filippo Salamone, in contatto con uomini di Cosa Nostra. È stato l’incrocio tra Tangentopoli e Mafiopoli a far scattare l’attacco per fermare l’inchiesta. Con la discesa in campo anche di spezzoni dei servizi segreti, come dice una relazione del Copasir, il Comitato parlamentare di controllo sui servizi. Io sono stato accusato delle cose peggiori, indagato per anni a Brescia. Mi sono dimesso quando ho capito che stava per arrivare il finimondo. Ho lasciato la magistratura per potermi difendere e per difendere l’inchiesta. Devo ringraziare due giudici liberi e indipendenti, Roberto Spanò e Anna Di Martino, che dopo anni d’indagini mi hanno prosciolto da ogni accusa. E ora una lettera di Bettino Craxi spiega tante cose…
È la lettera che Craxi scrive a Francesco Cossiga durante la latitanza ad Hammamet. Dice, tra l’altro: “Aspetto ancora con pazienza una soluzione politica. Se non verrà e se mi convincerò che è inutile farsi illusioni, credo che la mia reazione, peraltro molto documentata, non mancherà”.
Sì. È la prova, dopo 25 anni, dell’attacco organizzato contro di me per bloccare Mani Pulite. Craxi confessa a Cossiga di essere pronto. Borrelli, che pure non sapeva del dossieraggio contro di me, ha però sempre difeso il mio lavoro di magistrato. E nell’ultimo nostro incontro, con il suo abbraccio e il suo grazie, mi ha fatto capire di avere capito.
Borrelli disse di non aver condiviso neppure il comunicato che lei, Colombo, Davigo e Francesco Greco leggeste in tv nel 1994, contro il decreto Biondi (che avrebbe fatto liberare molti indagati di Mani Pulite e che fu ritirato dopo il vostro intervento).
Quel comunicato lo conosceva, perché lo abbiamo condiviso e limato parola per parola. Forse non riteneva opportuno che lo leggessimo davanti alle telecamere. Comunque il suo ‘Resistere, resistere, resistere’ vale cento volte quel comunicato.
Non era una “toga rossa”, Borrelli. Eppure anche lui fu accusato di dirigere un’operazione politica.
Pensi: noi del pool lo informavamo giorno per giorno di come procedeva l’inchiesta; e lui non ci ha mai chiesto di che partito fosse questo o quell’altro indagato. Ha sempre difeso il nostro lavoro, senza mai interferire. Lo hanno capito i tanti cittadini che lo hanno salutato con affetto, dopo la sua morte. Quello che mi ha indignato è l’ipocrisia di tanti ammiratori del giorno dopo: in vita lo hanno avversato, dopo morto hanno finto commozione.