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 2019  agosto 20 Martedì calendario

Thalasso, un film dove Depardieu e Houellebecq sono loro stessi. Bevono e fuman (anche se di nascosto)

Uno è quasi obeso, l’altro è scheletrico. Uno beve come una spugna, l’altro fuma una sigaretta dietro l’altra. Uno ha fatto di sé l’incarnazione del godimento terreno, ama ostentare il suo essere povero di nascita, volgare di formazione, prosaico nei desideri; l’altro è quasi effimero, impalpabile, intellettuale ma assolutamente non chic, intellettuale nel senso di intelletto puro, razionalità che invade ogni ambito (politica, sesso, scienza, tecnologia, arte, religione). Uno è cinema, l’altro è letteratura. Entrambi, Gérard Depardieu e Michel Houellebecq, sono anime di Francia: icone, iconoclasti, simboli, ribelli, reietti, celebrati, adorati, criticati. Ora, insieme, recitano nei panni di sé stessi: un attore che deve perdere peso e smettere con vini e cibi grassi, uno scrittore che deve rigenerare fegato e polmoni e smettere con alcol e tabacco. Insieme si ritrovano a tentare la cura della talassoterapia, da cui il titolo, Thalasso, del film di Guillaume Nicloux, che esce domani in Francia, annunciato da tempo come un evento perché, in effetti, è un evento riunire, per un’ora e mezza, due mostri sacri della cultura e dell’immaginario francese.
Depardieu e Houellebecq recitano in accappatoio bianco, la «divisa» dell’albergo-clinica in cui sono rinchiusi, per seguire un programma di risanamento imposto dal sistema sanitario. Il centro per la terapia si trova a Cabourg, la cittadina del Calvados, in Normandia, frequentata da Proust in gioventù (e diventata Balbec nella Recherche), tanto da sfoggiare, oggi, una lunghissima Promenade Marcel Proust. Ma i due viziosi, alle prese con l’imperativo categorico del salutismo, più che discutere di letteratura cercano di sopravvivere al rigore della dieta: Depardieu arriva con una scorta di salsicce in valigia, Houellebecq tenta un assalto al frigorifero prima, e alle amate sigarette poi. Si infilano nelle rispettive stanze per fumare e bere di nascosto, sfuggendo ai controlli del personale; e, fra un bicchiere e una tirata, chiacchierano di politica, di vita, di morte, del presidente Macron, delle posizioni nel sesso, dei possibili pericoli della crioterapia per la virilità. Fra ossessioni, attualità e ironia, il regista Nicloux, l’attore e lo scrittore mettono in scena una commedia sulla realtà contemporanea, i suoi conformismi, i suoi ideali politicamente corretti e i suoi idoli talvolta imprevedibili, come sono proprio gli stessi Depardieu e Houellebecq.
Non per tutti, ovviamente. A un certo punto, uno degli ospiti del centro di talassoterapia si avvicina alla coppia di pazienti celebri e dice la sua: «Trovo che voi siate la vergogna della Francia». Sulla questione, lo stesso regista ha chiesto un parere ai suoi due protagonisti. «Ti riconosci nel fatto di essere la vergogna della Francia?» ha chiesto Nicloux in una intervista. Houellebecq: «Sì. C’è del vero in questa affermazione». Depardieu: «Mi piace, questo non è falso. È la verità della gente, non per forza la nostra, ma è la verità di quel che rappresentiamo talvolta per certe persone». Per entrambi, essere la «vergogna» del Paese fa parte del gioco, e del personaggio. Ma c’è dell’autenticità in questa vergogna, motivo per cui (seppure per motivi molto diversi) entrambi, l’attore e lo scrittore, hanno una schiera molto grande e varia di sostenitori, i quali li amano anche per quella «vergogna», ma non solo.
Fa parte del personaggio Houellebecq presentarsi con una certa aria dimessa e sporca, da clochard, anche se poi, fra gli invitati al suo ultimo matrimonio (il terzo), c’erano l’ex presidente Sarkozy e la moglie Carla Bruni, oltre al suo testimone di nozze, l’amico scrittore Frédéric Beigbeder, il quale, guarda caso, nel suo nuovo libro, Una vita senza fine (Bompiani) racconta proprio di certe cliniche salutiste in cui si inseguono, vanamente e inquietantemente, la perfezione e la longevità del corpo (è scontato dire che per tutti e tre, Houellebecq, Depardieu e Beigbeder, è una battaglia persa in partenza: nessuno di loro ha intenzione di rinunciare a un bicchiere di champagne, a una fumata, al burro o al foie gras). Fa parte del personaggio Depardieu sbandierare la sua ascendenza «popolana» (era così povero e abbandonato a sé stesso, da ragazzo, da prostituirsi per pochi soldi con i camionisti, ha raccontato nell’autobiografia), salvo poi farsi donare la cittadinanza russa dall’amico Putin per non pagare le tasse in Francia. «Satelliti un po’ folli, incontrollabili, con una grande libertà di espressione» li ha definiti Nicloux (che ha già diretto altre tre volte Depardieu, e altre due Houellebecq): ed è vero, perché pochi si arrischiano a dire ciò che dice Houellebecq sul sonno dell’Europa e sul suo futuro di rassegnazione al potere dell’islam, e pochi si arrischiano ad alzare le spalle di fronte alle accuse dei benpensanti sui suoi rapporti con le donne, l’alcol e il cibo, come Depardieu. I francesi hanno due «vergogne» così e ora, beati loro, possono gustarsele anche al cinema.