La Stampa, 20 agosto 2019
Così Trump vuole fare cadere Maduro
C’è una terza via che gli Stati Uniti stanno seguendo per agevolare la capitolazione di Nicolas Maduro. Una strategia alternativa (o contestuale) all’ipotesi di un’azione militare o all’appoggio «esterno» alla (macchinosa) opposizione di Juan Guaidó.
I media Usa hanno individuato il protagonista di questa nuova fase in Diosdado Cabello, potente leader del partito socialista del Venezuela che avrebbe avuto contatti con l’amministrazione Usa attraverso intermediari di fiducia. Contatti segreti sostenuti da alcuni alleati dello stesso Maduro in cerca di garanzie su una eventuale immunità nel caso dovessero cedere alle richieste di far cadere la testa del successore di Hugo Chavez. Cabello, 56 anni, è un perno fondamentale del sistema di potere all’interno del Venezuela: ha visto crescere la sua influenza su alcune componenti del governo di Caracas e sulle forze di sicurezza mentre la presa di Maduro si andava indebolendo. Ma è stato anche accusato dagli Usa di essere coinvolto in casi di corruzione, traffico di stupefacenti e persino minacce di morte contro un senatore americano. Un personaggio obliquo, ma che potrebbe essere utile ad aumentare la pressione sul regime, contribuendo ad alimentare lotte intestine già in corso tra blocchi di potere contrapposti. Cabello, in particolare, sarebbe in contatto con il membro del Consiglio di sicurezza nazionale Mauricio Claver-Carone, il quale potrebbe fungere da «cavallo di Troia» per aprire un varco all’interno della Carlota, la principale base strategica militare di Caracas. Perciò alcuni consiglieri dell’amministrazione Trump lo considerano un importante mediatore e pensano che la rivolta del 30 aprile dell’opposizione venezuelana avrebbe avuto successo se fosse stato coinvolto lui.
Al contrario, alcuni funzionari del Dipartimento di Stato sono preoccupati dall’idea di comunicare con un presunto signore della droga, sebbene l’apertura di un varco nella compagine di regime possa suggerire che la cerchia di Maduro si stia gradualmente spezzando. Trump sembra determinato ad andare avanti: il presidente infatti è profondamente frustrato dal fatto che l’opposizione non sia riuscita a rovesciare Maduro anche dopo aver fatto da capofila nel riconoscere Juan Guaidó come il legittimo leader del Venezuela. Frustrazione dovuta anche alle resistenze interne ad eventuali azioni di forza opposte dai vari ex come James Mattis, Rex Tillerson e John Kelly. La dinamica è cambiata quando John Bolton e Mike Pompeo hanno preso il sopravvento. Finora Trump ha cercato di strozzare il dittatore con sanzioni crescenti, non avendo interesse a impegnare truppe di terra in Venezuela, ma chiede ai suoi collaboratori di continuare a esercitare pressioni su Caracas e cercare modi creativi per aiutare Guaidó. Le opzioni militari non sono imminenti, ma non sono escluse, anzi.
Trump punta sull’idea di un blocco navale del Venezuela, rivela Axios, una sorta di stazionamento delle navi della Marina militare lungo la costa del paese per impedire alle merci di entrare e uscire. Il Pentagono nicchia, perché ritiene l’opzione non facilmente praticabile, debole in termini di basi legali e costosa in termini di risorse per la Us Navy.
Il presidente sarebbe però tornato alla carica di recente, ossessionato dall’incubo che in Venezuela prima o poi entri qualcosa di pericoloso: «Suppongo che abbia il timore del ripetersi di un crisi missilistica cubana».