Corriere della Sera, 20 agosto 2019
Balotelli è tornato a casa
A volte, per ripartire, occorre tornare a casa. «Quando ho chiamato la mia mamma per dirle che forse andavo al Brescia, s’è messa a piangere. Io le chiedevo cosa dovevo fare, lei piangeva». Ci fosse ancora, si sarebbe commosso anche papà Franco. E forse ci sarebbe stato anche lui in mezzo a tutta questa gente vestita di bianco e azzurro, che dopo ore sotto il sole d’agosto canta impazzita «se saltelli segna Balotelli».
La famiglia
Quando ho chiamato mia madre per dirle che tornavo a casa, si è messa a piangere Anche mio papà sognava di vedermi giocare con questa maglia
«Sognava di vedermi giocare qui. Sarebbe felice». Sicuro. A lui, papà Franco, l’uomo che insieme a sua moglie Silvia lo accolse in casa quando aveva solo tre anni, crescendolo come un figlio, Mario aveva fatto anche una promessa, poco prima che morisse, nel 2015: «Vedrai, tornerò in Nazionale». È anche per questo, o forse soprattutto per questo, che ha scelto di tornare a casa, nella sua città, fra i suoi affetti, nel suo cerchio magico, accanto agli amici veri, quelli che lo aspettano sempre e comunque, quando le cose vanno bene e quando vanno male. «Ma io non ho paura, forse l’avete voi». Eccolo, Mario: forza e fragilità, potenza e tenerezza, sguardi da duro e sorrisi da bambino. Anche se ora Mario bambino non è più.
Il razzismo
Spero che in Italia la situazione sia migliorata
Sembra che siate più preoccupati voi di
un mio fallimento di quanto non lo sia io
È una scelta di cuore
La sua prima conferenza stampa è durata tredici minuti, battute di Cellino incluse. Risposte brevissime, pochi sorrisi, una certa emozione evidente, un solo riferimento al tema del razzismo, «spero che la situazione in Italia sia migliorata». In sala l’agente Mino Raiola, il fratello Enock, gli amici più stretti. Alle spalle, su un manichino, la sua maglietta nuova col numero 45, che poi lancerà da una finestra del secondo piano, come le rockstar. Fuori, almeno cinquecento persone in delirio. Tanti bambini. Come ai tempi di Baggio, estate 2000. Anche Roby, come Mario, si allenava da solo su un campetto di paese, in attesa di qualcuno che si fidasse ancora. E anche allora il Brescia era neopromosso. Fine delle analogie: Baggio era Baggio, Balotelli è Balotelli. Vale a dire né un affare né una fregatura. Una scommessa. Come ha detto il c.t. Mancini, «dipende tutto da lui». Mediaticamente, però, il club ha già fatto bingo: nella sede di via Solferino tutti i giornalisti non ci entravano, è servita la hall di un hotel. Trecento metri più verso il centro, una coda infinita davanti al botteghino degli abbonamenti, riaperti guarda caso proprio ieri. «Ma io Mario non l’ho preso per vendere più biglietti, non è un’operazione commerciale» ha voluto puntualizzare Cellino. Diciamo che potrebbe diventarlo, fra marketing e tournée internazionali allo studio. Una cosa è certa: senza il decreto Crescita il colpaccio non sarebbe stato possibile. Il suo stipendio – 3 milioni il primo anno, 4,5 il secondo e il terzo, rinnovo automatico in caso di salvezza a maggio – verrà tassato solo della metà.
L’azzurro
Il mio obiettivo è andare a Euro 2020
farò di tutto per riuscirci
Con Mancini in panchina adesso so che tocca a me, a me soltanto Prima non era così
Brescia, invece, sogna per intero. La salvezza ora è un po’ meno sogno proibito. Anche se Balo era e resta un enigma ancora da sciogliere. «Sembra che abbiate più voi paura di un mio fallimento di quanto ne abbia io. Io non ho paura, zero. Sto bene, ho fatto una scelta di cuore. E poi sono a casa». Da dove riparte quindi l’inseguimento all’azzurro e a quella promessa fatta quattro anni fa. «Il mio sogno è l’Europeo. E farò di tutto per andarci. Prima di Mancini non dipendeva da me, adesso invece tocca a me, a me soltanto». A 29 anni e due figli, Mario torna a casa per provare a ripartire. Baggio ne aveva 33 quando arrivò da queste parti. Quagliarella è diventato capocannoniere a 36.
C’è ancora tempo, Mario. Meno di prima, ma c’è.