Corriere della Sera, 20 agosto 2019
Tutti gli amici dell’America di Trump
È opinione diffusa, tra gli analisti più quotati, che l’approccio di Donald Trump in materia di politica estera, in linea con il suo programma «America First» – vale a dire un approccio unilaterale, mercanteggiante e sprezzante della storia – abbia contribuito a isolare gli Stati Uniti dal resto del mondo come non era mai accaduto fino ad ora. Tuttavia, osserviamo che mentre i continui attacchi di Trump contro i valori occidentali, tra i quali lo stato di diritto e la libertà di espressione, hanno indubbiamente logorato i legami con i partner tradizionali, come Canada, Germania e Francia, la sua strategia «America First» ha assicurato agli Stati Uniti una nuova categoria di alleati. Difatti, quasi la metà dei capi di Stato del G20 oggi preferiscono di gran lunga Trump al suo predecessore Obama.
In Brasile, il presidente Jair Bolsonaro è stato soprannominato il «Trump dei tropici», e il palese disprezzo manifestato per la correttezza politica fa a gara con le posizioni di Trump. Allo stesso modo, ci sono altri capi di Stato mondiali che in materia di migrazione si misurano con la retorica di Trump, come Matteo Salvini della Lega. Sia Salvini che Bolsonaro sono stati eletti al termine di campagne improntate allo stile di Trump. Scott Morrison sarà il primo premier australiano, dal lontano 2006, ad essere onorato da un presidente americano con un ricevimento di Stato.
Ben risapute sono le affinità fra Trump e il principe saudita Mohamed bin Salman, e i rapporti tra i sauditi e l’amministrazione Trump sono infinitamente migliori di quelli intercorsi con Obama.
Trump gode di rapporti personali molto calorosi con Narendra Modi e nessun altro leader mondiale si è mai dimostrato abile quanto il primo ministro indiano nello sfruttare al massimo la politica divisiva del «noi contro loro» per portare a casa vittorie politiche.
Mauricio Macri, in Argentina, vanta un’amicizia personale con Trump, costruita sugli affari e sul golf, che precede addirittura la loro nomina al governo dei rispettivi Paesi. Altrettanto dicasi del primo ministro britannico nuovo di zecca, Boris Johnson. Trump lo ha gratificato con il massimo complimento, definendolo «il Trump britannico». Non occorre sprecare altro inchiostro sulla reale e profonda simpatia che Trump nutre verso il presidente russo Vladimir Putin, un sentimento ricambiato, anche se la diffidenza bipartisan che regna a Washington nei confronti di Putin fa sì che le relazioni Usa-Russia siano state per il momento congelate. Stessa storia con il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan.
Populismo
Per i Paesi democratici l’attrattiva di Trump è la sua capacità di parlare agli elettori emarginati
Ci troviamo davanti a un grande cast di attori politici, ciascuno dei quali, ha i suoi buoni motivi per preferire Trump. Ma, facendo un passo indietro, si possono identificare due distinte tendenze che caratterizzano le attrattive di Trump agli occhi di molti leader mondiali. Queste si concretizzano, per i Paesi democratici, nel populismo di Trump e nella sua capacità di raggiungere quegli elettori che per troppo tempo si sono sentiti emarginati; per i regimi autoritari, nell’approccio commerciale di Trump e nella sua indifferenza davanti alle violazioni dei diritti umani, se vanno a intralciare le realtà della politica.
È importante inoltre tener conto di quei leader mondiali che avrebbero tutte le ragioni per essere in buoni rapporti con Trump, ma non lo sono. Il presidente cinese Xi Jinping si aspettava di poter lavorare serenamente con Trump, l’uomo d’affari, per stringere gli accordi più vantaggiosi per il proprio Paese e al contempo gratificare la controparte nella sua fortuna personale e politica. E invece Xi Jinping si ritrova bersaglio di una politica americana molto aggressiva nei confronti della Cina. Allo stesso modo, il leader giapponese Shinzo Abe non sa spiegarsi come mai, dopo tre anni di aperte sollecitazioni e blandizie di ogni genere avanzate dal leader di un paese democratico avanzato, Trump non abbia ancora adottato nessuna misura a favore del Giappone.
Chiunque seguirà Trump alla Casa Bianca, che sia nel 2020 o nel 2024, dovrà affrontare una nuova schiera di alleati e avversari dell’America. La sua abilità nel navigare queste nuove rotte diplomatiche determinerà il successo della sua presidenza, da un lato, e dall’altro sottoporrà Trump al giudizio della storia.