Corriere della Sera, 20 agosto 2019
Il caffè di Gramellini
Anni fa, il giovane manager di una azienda italiana del settore alimentare venne convocato in America dalla multinazionale che ne deteneva il controllo. Gli azionisti lo elogiarono per avere realizzato i migliori risultati di tutto il gruppo. Riconobbero che aveva conquistato la massima quota possibile di mercato. Nondimeno gli chiesero di aumentare i profitti di un altro dieci per cento, tagliando posti di lavoro. Il giovane manager si avvicinò al microfono e disse una sola parola: «Why?» Perché? Il quesito aleggiò nel silenzio ovattato della sala-riunioni. Perché licenziare le persone che avevano costruito quel piccolo miracolo, gettando sul lastrico famiglie intere? Per consentire a trenta proprietari di barche e ville di comprarsi una barca ancora più lunga e una villa ancora più larga? Non c’era altra risposta e infatti non vi fu risposta. Ma si decise momentaneamente di soprassedere.
La risposta è arrivata ieri ed è una notizia che ha tutta l’aria di essere un po’ più importante, per i nostri destini, dei magheggi di Renzi e dei contro-magheggi di Salvini. Da Amazon a General Motors, i capi di duecento multinazionali si sono impegnati per iscritto a non fare più del profitto degli azionisti l’unico obiettivo. D’ora in poi conteranno anche le ragioni dei lavoratori e dei fornitori, dei clienti e dell’ambiente. Non sono diventati improvvisamente buoni. Ma sono uomini d’affari e hanno capito che un mondo troppo ingiusto non era più un affare neanche per loro.