la Repubblica, 20 agosto 2019
Tutto quello che c’è da sapere sugli orsi
C’era una volta un Re. Era forte, coraggioso, un guerriero invincibile, un’antica divinità, una creatura venerata. Da lui discendevano schiatte di sovrani, Re Artù e i signori dell’antica Danimarca. Per i Celti, i Germani e gli Slavi era il re dei boschi. Per millenni gli sciamani lo evocavano nei loro riti e gli chiedevano perdono prima d’ucciderlo. Poi all’alba del XII secolo fu detronizzato, schernito, ridotto in cattività, legato alla catena ed esibito in spettacoli ambulanti. La Chiesa cristiana gli fece perdere forza e superbia, lo relegò tra gli animali sconfitti. Al suo posto, sul trono, pose il leone, cui attribuì lo scettro di re degli animali, esempio di forza e virtù. I re cristiani lo sterminarono, Carlo Magno tra i primi. Abbatterono le foreste e resero il suo antico regno un luogo sempre più piccolo.
Tuttavia l’orso, questo il nome del Re, non scomparve del tutto. Sopravvisse. Dalle caverne del Paleolitico e dalle foreste dell’età antica il Re si trasferì nelle camerette dei bambini divenendo, lui animale terribile, il simbolo della tenerezza: Teddy Bear. Gli esseri umani e gli orsi sono uniti in un rapporto simbolico da 80.000 anni, argomenta Michel Pastoureau nel suo studio su questo animale appartenente alla famiglia Ursidae e all’ordine dei Carnivori: un mammifero. Originario probabilmente dell’Asia, l’orso discende da antenati comuni ai canidi ed è un plantigrado. Il suo antenato diretto è una specie, Ursus minimus, rinvenuta in Piemonte e Toscana in sedimenti pliocenici di circa 3 milioni di anni fa; ma c’è anche l’ Ursus deningeri di grandi dimensioni, tipico del Pleistocene, comparso 800 mila anni fa e sostituito dall’orso delle caverne Ursus spelaeus, adattatosi a un’alimentazione più vegetariana dei precessori. La nostra parentela con l’orso, scrive Pastoureau, è attestata dalla grotta di Regourdou nel Périgord francese, dove una sepoltura umana neanderthaliana è posta accanto a un orso bruno sotto un’unica lastra tra due blocchi di pietra. Antico dio e antenato dell’uomo, l’orso diventa tra il XII e il XIII secolo il nemico cui si applica la forza costrittiva della Chiesa. Lo si vede come un concorrente della figura di Cristo. Il culto dell’orso, legato all’albero e ai boschi, retaggio di antiche età dell’uomo, è messo al bando.
Nascono innumerevoli leggende circa il suo addomesticamento da parte di santi; San Martino lo conduce con sé, catena al collo, e l’aggioga con il bue a tirare carri e aratri. Nella lotta simbolica contro l’orso, la Chiesa l’accosta al diavolo. Cominciano a circolare in quei secoli leggende che i giornali francesi nell’Ottocento definiranno Les faits divers : orsi innamorati di donne le rapiscono e le portano in caverne; si uniscono sessualmente a loro. Nel Seicento, nel ducato di Savoia, valle della Tarantasia, un orso innamorato della giovane Antoinette Culet la violenta e la relega in una grotta, dove resta sequestrata per tre anni. Liberata, la ragazza viene riportata a casa; ma l’orso torna a rivendicare la sua sposa ed è ucciso; Antoinette sconvolta è rinchiusa in un monastero. Prosper Mérimée s’ispirerà a questo evento raccontato in opuscoli e memoriali per la sua novella Lokis.
Per quanto temuto e cacciato, l’orso entra però nei nomi e negli emblemi delle città: a Berna tiene il posto dell’animale totemico; Berlino, lo iscrive nel suo simbolo; a Madrid nell’emblema araldico c’è il plantigrado. Nella versione polare dell’orso bianco, l’ Ursus maritimus, è invece legato alla primavera e al ciclo vegetale. Gli Algonchini del Canada lo chiamano Nonno, anche se poi lo cacciano. Nel Novecento torna, seppure sotto altra forma: orso di peluche. Nato da un episodio di caccia di Theodore Roosevelt nel 1902 diviene un pupazzo di pezza realizzato da un fabbricante di bambole di New York, Morris Michtom, cui viene dato il nome del Presidente: Teddy Bear. In Europa però da trent’anni circolava già un altro orsetto creato in Germania da Margarethe Steiff: due inventori per lo stesso simbolo. Nel XX secolo arriveranno gli orsi di carta stampata e quelli dei cartoni animati, da Baloo del Libro della giungla a Winni the Pooh, l’orsetto saggio zen, creato da A.A. Milne nel 1926, da Yoghi e Bubu a Masha e Orso dei nostri giorni. L’orso bruno, Ursus arctos, il più diffuso in Europa e in Italia da migliaia d’anni, è oggi un sopravvissuto. Nel nostro paese ci sono circa 100 esemplari sulle Alpi e 30-50 nel parco degli Abruzzi, in Lazio e in Molise. Temuto e insieme desiderato, è monitorato e salvaguardato. La sua caccia è cessata per decreto nel 1939. Una volta sterminati o quasi, gli animali più importanti per l’uomo diventano simboli, e quindi oggetti dedicati ai bambini, a quell’età in cui il mondo naturale appare un Eden incontaminato, com’era probabilmente all’origine, prima che l’Homo sapiens diventasse il padrone incontrastato della Terra. Il cerchio s’è chiuso.