la Repubblica, 20 agosto 2019
Sul processo a Omar al-Bashir
Il processo ad Omar al-Bashir sarà un inevitabile braccio di ferro: si capisce già dalla prima udienza, ieri a Khartoum, dove il 75enne ex presidente sudanese, deposto in aprile dopo lunghe proteste popolari, ha cominciato subito a contestare le accuse. Un investigatore della polizia, il generale Ahmed Ali Mohamed, ha detto ai giudici che nella residenza di Bashir sono stati trovati oltre 350 mila dollari, 6 milioni di euro e 5 milioni di sterline sudanesi (pari a centomila euro) in contanti. Il denaro era contenuto in sacchi da granaglie e farebbe parte di robusti versamenti da parte della famiglia reale saudita. Secondo la testimonianza, Bashir ha detto di aver ricevuto 25 milioni di dollari dal principe Mohamed bin Salman e 65 milioni dall’allora sovrano Abdullah. L’amicizia fra Omar al-Bashir e la famiglia reale di Riad è di lunga data, ed era stata consolidata grazie alla partecipazione di truppe sudanesi all’intervento militare guidato dai sauditi nello Yemen. Ma le somme versate dai monarchi arabi non compaiono nella contabilità di Stato, né Bashir ha fornito giustificativi o ricevute. Un legale del nutritissimo collegio che difende Bashir, Ahmed Ibrahim, ha negato che il denaro sia frutto di corruzione, sostenendo che la disponibilità di grandi somme in contanti è prassi usuale per un capo di Stato.
L’ex presidente ha assistito alla testimonianza da dietro le sbarre, vestito di bianco, limitandosi a declinare le proprie generalità e scoppiando a ridere quando i giudici gli hanno chiesto di indicare la residenza. Oltre alle irregolarità finanziarie, Bashir è accusato di violazioni di diritti umani in patria, con possibili responsabilità nella repressione all’inizio delle proteste. Il tribunale penale internazionale ha emesso un ordine di cattura contro di lui, con l’accusa di genocidio e crimini contro l’umanità per le stragi nel Darfur.