la Repubblica, 20 agosto 2019
Brexit, Johnson vuole la linea dura
Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori: la Brexit sta per chiudere le porte della Gran Bretagna. Dal prossimo 1 novembre i cittadini europei non potranno più emigrarvi liberamente, se il 31 ottobre questo paese uscirà dalla Ue con il “no deal”, ovvero senza alcun accordo, come minaccia di fare Boris Johnson. Lo ha reso noto Downing Street, confermando indiscrezioni secondo cui la “libertà di movimento”, un principio cardine dell’Unione Europea, finirà immediatamente il giorno dopo la Brexit, senza una fase di transizione per l’introduzione delle nuove norme.
L’annuncio ha suscitato immediate proteste a Bruxelles e a Londra. «I cittadini dei 27 paesi della Ue che risiedono nel Regno Unito e quelli che ancora vogliono visitarlo meritano più certezze e maggiori informazioni», commenta su Twitter Guy Verhofstadt, rappresentante del Parlamento europeo ai negoziati sulla Brexit. «Una decisione irresponsabile e avventata», afferma Ed Davey, portavoce dei liberaldemocratici, il più europeista fra i partiti britannici. «Che conseguenze avrebbe per i cittadini europei che vivono in Gran Bretagna, quando ritornano da un viaggio all’estero? Il nostro governo vuole seriamente che a un’infermiera europea di un ospedale britannico non verrà permesso di rientrare nel Regno Unito da una vacanza? È assurdo». Concorda Nicolas Hatton di The3Million, l’associazione che rappresenta i 3 milioni e mezzo di europei residenti in Gran Bretagna: «Significa caos e discriminazione. Come potranno le guardie di frontiera distinguere tra chi vive qui e quelli che arriveranno dopo?».
Il governo britannico ha organizzato un sistema per garantire a tutti gli europei residenti in Gran Bretagna di restarvi a tempo indeterminato con pieni diritti, anche in caso di Brexit con il “no deal”; e per chi vorrà emigrare in seguito si parla di piani per un sistema “a punti” sul modello di Australia e Singapore per il futuro. Ma il “settled status”, ovvero il permesso di residenza permanente, introdotto quattro mesi fa, è stato finora ottenuto solo da un milione di europei (tra cui 120 mila italiani su un totale di 700 mila), ed è improbabile che i restanti due milioni e mezzo si mettano in regola nei 72 giorni che mancano alla Brexit. È vero che per richiedere il “settled status” c’è tempo fino al dicembre 2020, ma chi non ne è ancora provvisto e va in Europa potrebbe trovarsi in difficoltà a dimostrare al ritorno il diritto di residenza. Si profilano complicazioni anche per chi ha già il “settled status”, poiché si tratta di uno status digitale, senza un documento che lo attesti.
L’alternativa è che il primo ministro ci ripensi. O che raggiunga in extremis un accordo con la Ue per scongiurare il “no deal”. O che sia l’opposizione a bloccarlo, come il leader laburista Jeremy Corbyn si è ieri impegnato a fare «in qualunque modo». Ma il primo novembre, se non cambia niente, a Londra tornerà di moda la vecchia barzelletta: nebbia sulla Manica, il continente isolato.