la Repubblica, 20 agosto 2019
Ecco cosa succederà all’Iva
Quale che sia l’esito della crisi di governo, nessuno potrà ignorare il macigno che grava sull’economia italiana: l’aumento dell’Iva e delle accise sui carburanti per 23,1 miliardi che scatta dall’1 gennaio 2020, se non viene disinnescato. Ovvero se non si trovano risorse finanziarie dello stesso importo per evitare che l’aliquota Iva del 10% salga al 13%: energia, trasporti, farmaci, alberghi, ristoranti, cinema. E quella del 22 al 25,2%: tutti gli altri beni esclusi libri e generi alimentari che restano al 4%. Anche fare il pieno costerebbe di più, visto che dalle accise rincarate si attendono 400 milioni extra all’anno nel triennio 2020-21-22. Ovvero 1,2 miliardi.
Governo gialloverde
Se Lega e Cinque Stelle riuscissero a ricucire lo strappo – ipotesi assai remota – e magari nascesse un Conte bis con un rimpasto di colori e poltrone ministeriali, il nuovo esecutivo pentaleghista farebbe la manovra nei tempi previsti. Prima la nota di aggiornamento del Def entro la fine di settembre con il quadro macroeconomico aggiornato (Pil, deficit, debito). E poi la legge di Bilancio entro il 15 ottobre spedita a Bruxelles ed entro il 20 al Parlamento. La clausola di salvaguardia – una sorta di cambiale a copertura delle spese: se non trovi i soldi, aumenta l’Iva – è solo in parte eredità del passato. M5S e Lega nel 2018 l’hanno quasi raddoppiata: da 12 a 23,1 miliardi. Ebbene la Lega vorrebbe evitare nuove tasse su benzina e consumi facendo decifit (ma così si sforerebbe il 3%). I Cinque Stelle tagliando spese “improduttive” tutte da individuare.
Governo rossogiallo
Se invece l’esito della crisi parlamentarizzata portasse a una maggioranza di colore diverso – tra Pd e M5S o tra Pd, M5S, FI, il “governo Ursula” – anche in questo caso ci sarebbe tutto il tempo per rispettare il cronoprogramma e imbastire la sessione di bilancio che deve chiudersi entro il 31 dicembre con l’approvazione della manovra. La quadra andrebbe trovata su come scriverla. Ovvero come evitare non solo l’aggravio Iva-accise. Ma anche quali politiche finanziare. Le visioni non collimano. Il Pd non è contrario ad aumenti selettivi dell’Iva, solo su alcuni beni o servizi, posizione condivisa dall’ex ministro dem Padoan, ma anche dall’attuale Tria. I Cinque Stelle difenderebbero a denti stretti reddito di cittadinanza e quota 100, criticati dal Pd e (solo il reddito) da Forza Italia. Pd e FI sono “partiti del Pil”, dunque per il sì alle opere, grandi e piccole. M5S con molti distinguo.
Elezioni anticipate
È lo scenario più preoccupante. Votare tra fine ottobre e metà novembre significherebbe saltare quasi tutta la sessione di bilancio e far scivolare il Paese verso l’esercizio provvisorio (è successo l’ultima volta nel 1988 con il governo Goria): massimo 4 mesi in cui si può spendere solo un dodicesimo del bilancio dell’anno prima per ciascun mese. In questo caso però l’Iva scatterebbe in automatico l’1 gennaio, piombando il Paese in recessione. Per evitarlo c’è una strada. Il governo Conte dimissionario o un eventuale esecutivo di scopo/ istituzionale/elettorale potrebbe varare una manovra light, una mini-manovra da 7-10 miliardi per coprire le spese indifferibili dello Stato – missioni all’estero e altro – oltre a impedire il rincaro Iva-accise almeno da gennaio a marzo (un trimestre vale circa 5,7 miliardi). Spostando così l’innesco della clausola di salvaguardia all’1 aprile. «Si può fare», dice l’ex viceministro Enrico Zanetti, «è già successo due volte con l’aumento Iva dal 20 al 21% durante il governo Berlusconi nell’ottobre 2011 e anche per il rincaro dal 21 al 22% nell’ottobre 2013». Si può fare «ma il segnale di instabilità che daremmo ai mercati sarebbe devastante», aggiunge l’economista Nicola Rossi. «Si comprerebbe tempo, non c’è dubbio», aggiunge Sergio De Nardis, senior fellow alla Luiss School of Political Economy. «Ma si lascerebbe il Paese nell’incertezza. E in ogni caso le coperture, seppur ridotte di portata, andrebbero trovate».