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 2019  agosto 20 Martedì calendario

Oggi Conte si dimette

Giuseppe Conte non ha dubbi. La strada è segnata. Discorso oggi pomeriggio al Senato tutto contro Matteo Salvini verso il quale il premier si dice «avvelenato»; nessun voto dell’aula dopo le sue comunicazioni; concluso l’intervento il premier sale al Quirinale per rimettere il mandato e chiudere l’esperienza gialloverde: «Escludo ogni possibile continuità con la Lega», ha ripetuto ieri ai suoi collaboratori. Questa è stata fin dall’inizio la road map immaginata da Conte e ispirata dai suggerimenti di Sergio Mattarella. Il travaglio delle ultime ore su come uscire ordinatamente da un’esperienza di governo ha però coinvolto i rapporti tra il presidente del Consiglio e il suo partito di riferimento, i 5 stelle. Perché alla pattuglia grillina piacerebbe molto avere una pausa di riflessione per capire lo sbocco della crisi. Ma il premier è stato chiaro: «Niente rinvii per una questione di dignità personale e istituzionale».
Cosa farà Conte una volta uscito da Palazzo Chigi? Non si esclude che possa rientrarci, con la maggioranza Pd-5stelle. Per questo è molto importante ascoltare le sue parole, leggere tra le righe, vedere fino a dove si spingerà la condanna del vicepremier leghista e quali segnali verranno mandati alla temporanea opposizione. Improvvisamente nel Pd hanno capito che per avere un governo politico stabile, in grado di durare, non possono escludere a priori il Conte bis: unico collante possibile al momento. Garante di due contratti diversi: questo è un problema. Operazione temeraria e dal sapore trasformistico: altro problema. Ma con poco tempo a disposizione è complicato trovare una diversa figura di riferimento, legata al M5s, partito di maggioranza relativa, e gradita alla sinistra. Ci sarebbe Roberto Fico, ma il presidente della Camera avrebbe fatto trapelare i suoi dubbi. E metterebbe in crisi la leadership di Luigi Di Maio. Allora, se prima tra i dem si diceva «non bocciamo il Conte bis ma poi non lo lasciamo passare», adesso l’ipotesi non viene più esclusa. Anche per il Quirinale, di fronte a un patto serio e dettagliato, il ritorno di Conte non diventerebbe uno scoglio insormontabile.
Si è a lungo ragionato nel Movimento su questi passaggi. Ma lo ha fatto anche il premier da solo, chiedendo a tutti di tenere la bocca cucita sulle sue intenzioni che giocoforza s’intrecciano con le sue ambizioni. L’uscita di scena perciò è importante almeno quanto l’entrata. Vale per tutti i leader, vale anche per Conte. Soprattutto se l’obiettivo è rimanere in campo. Come premier ancora una volta, come commissario europeo indicato dalla maggioranza rossogialla o come candidato premier del M5S nel caso di scivolamento verso le elezioni anticipate. Perché sull’esito della crisi le posizioni di Conte e dei vertici grillini coincidono: o un governo di legislatura con il Pd o il voto. Non ci sono vie di mezzo. Se ne possono trovare molte per carità, ma anche il Colle confida in una soluzione ordinata, non pasticciata, che non esponga la presidenza della Repubblica alle accuse di ribaltonismo. La democrazia parlamentare va rispettata, così come certe regole della politica però. Per questo si aspettano prese di posizione chiare, pubbliche. Il percorso scelto da Conte rispetta questi parametri: la crisi viene parlamentarizzata con il suo discorso e nel momento in cui viene sancita la rottura con l’alleato Salvini è ufficialmente aperta. Non a caso al Quirinale da ieri stanno già facendo i preparativi logistici per le consultazioni. Ricomincia la sfilata appena 445 giorni dopo l’avvio dell’esecutivo nato dopo quasi 90 giorni di tira e molla seguito al voto del 4 marzo 2018.
Sicuramente questa crisi non può durare tre mesi. Anche se c’è da scrivere un nuovo programma andrà fatto in fretta perché le scadenze della legge di bilancio non aspettano. Come non aspetta un eventuale scioglimento delle Camere che a dispetto dei contatti resta una concreta possibilità.