La Stampa, 20 agosto 2019
Che succede a ottobre in Europa
Attenti alle idi d’ottobre. Perché il governo che terrà le redini di questa repubblica politicamente confusa, qualunque esso sia, non potrà evitare di spedire entro 15 del mese autunnale una lettera che spieghi a Bruxelles come intende amministrare il bilancio nel 2020. Non ci saranno sconti elettorali, né favori da relazioni e idee confuse. Il calendario è preciso, e meno male, visto che una società senza regole è come una casa senza fondamenta. I crolli non convengono. Fanno più male di una manovra rigorosa.
Ai piani alti della Commissione Ue, dove si rinfrescano gli ambienti in vista dell’arrivo della signora presidente Von der Leyen, gli occhi di chi segue i turbamenti dell’estate italiana proiettano molti interrogativi e qualche certezza. Gli schemi ipotetici sul tavolo sono numerosi e brutalmente intrecciati.
Si parte dal tutto cambia perché nulla cambi. Succede se oggi il premier Conte parla, la Lega lo vota, trova un modo per riconciliarsi coi grillini e il governo continua così come era. In tal caso, serve una bozza di bilancio per metà ottobre, un testo che rispetti gli impegni già presi di correzione dei conti e risolva l’incognita dell’Iva, disinnescandola o arrendendosi al rincaro da 23 miliardi. La Commissione avrà allora una settimana per dire se va bene, e un mese per disporre le raccomandazioni. Conto imposto dalla sostenibilità fiscale e dell’economia italiana: 20-50 miliardi, dipende da chi conta.
Il medesimo percorso vale per il possibile governo del «tutto cambia per cambiare»: anche un Conte bis coi democratici o quello che sarà avrà una cinquantina di giorni per costituirsi a Bruxelles e raccontare come intende essere virtuoso.
Diversa sarebbe la parata del «tutto è cambiato, sentiamo il popolo», valida se si dovesse votare nella seconda metà di ottobre. Al governo di transizione, con Conte o senza, sarebbe richiesto di favorire all’Unione entro le idi del mese una legge finanziaria «a politiche invariate», senza ritocco strategico alcuno, reiterando il bilancio 2019. In tal caso, l’approvazione è garantita, perché la coerenza col piano concordato in giugno comporta una coerenza di eurogiudizio.
Una volta insediatosi, l’esecutivo sortito dalla consultazione – gialloverde, verdeazzurronero, rossogiallo che fosse – avrà poco tempo per ragionare. La prassi del «semestre europeo», ovvero del grande coordinamento delle politiche di bilancio a dodici stelle, impone di adottare una bozza programmatica completa ed efficace preferibilmente un mese prima del limite di approvazione dal parlamento italiano, il primo dicembre per il 31 dicembre. La dimensione resterebbe di 20-50 miliardi variabili. Sempre tanti.
Se invece si andasse per le lunghe, il manovratore per gli affari correnti potrebbe essere costretto a navigare in un esercizio provvisorio, spendendo un dodicesimo del bilancio precedente ogni trenta giorni. La cattiva notizia è che non si potrebbero impostare sgravi e riforme innovative. La buona è che Bruxelles ammette la possibilità di disinnescare pro tempore l’aumento dell’Iva. In altre parole, in attesa di avere un governo vero, la maggiore tassazione indiretta potrebbe essere fermata da misure a portata ridotte, per due o tre mesi. Il manovrone spetterebbe alla nuova maggioranza una volta votata dal Parlamento.
Non c’è tempo da sprecare, sebbene l’aria non sia terribile. I mercati hanno imparato a non credere alle sparate bombastiche di Salvini su Bruxelles e, del resto, la linea rossa non è mai stata varcata. I tassi diffusamente sottozero rendono appetibili i Btp, comprati nella convinzione che non ci sarà un default nonostante Matteo e i profeti dell’Italexit. Il cambio della guardia alla Bce è letto in chiave di continuità. Tutto bene, eppure sarebbe diverso se il 31 ottobre di Brexit, dazi Usa e Halloween, ci fosse un qualche terremoto geoeconomico. Pagherebbero indebitati e disorientati. Non succede. Ma se dovesse succedere, sarebbe meglio non essere lì. Certo non con un governo da fare, la politica da mare d’Inverno, il deficit sotto stress, l’economia debole e le banche ultraesposte col Tesoro quanto il buon senso sconsiglierebbe in tempi di mercato globale.