Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  agosto 20 Martedì calendario

Altri due romanzi che rileggono il Vangelo

WIMBLEDONX
Gli scrittori che, più o meno esplicitamente, si sono confrontati con la figura di Gesù (sfida sempre difficile considerato il radicamento della materia biblica nell’immaginario di molti, credenti e non), si potrebbero collocare all’interno di uno spettro ai cui estremi ci sono José Saramago e J. M. Coetzee, due premi Nobel che hanno indagato l’uno la natura profondamente umana di Cristo, l’altro lo scandalo di chi è pronto a lasciare tutto per una nuova vita.
L’impenetrabile romanzo dello scrittore sudafricano, L’infanzia di Gesù (Einaudi), non è ambientato nella Palestina di duemila anni fa, ma in una città distopica chiamata Novilla, dove arriva, cercando rifugio, un bambino dalle doti profetiche accompagnato da un uomo più anziano («Non è mio nipote, non è mio figlio, ma sono responsabile per lui»). Un libro che, citando Kafka, Beckett, e sopratutto Cervantes, suggerisce una domanda cruciale: se si presentasse oggi riconosceremmo il Messia? Saramago, eretico militante, nel suo Vangelo secondo Gesù Cristo (Feltrinelli) ha affrontato invece la dolorosa fragilità tutta umana del Cristo, che, sulla croce, capisce «di essere stato portato all’inganno come si conduce l’agnello al sacrificio» e, rivolto al cielo, esclama: «Uomini, perdonatelo, perché non sa quello che ha fatto». Il romanzo venne da alcuni considerato blasfemo e le polemiche con la Chiesa portoghese furono alla base della sua decisione di trasferirsi alle Canarie.
Le accuse di blasfemia colpirono anche il Cristo di Nikos Kazantzakis, che ne L’ultima tentazione, uscito postumo nel 1960 (Crocetti lo ha riedito nel 2018), vive la tensione tra la natura umana e la voce divina. Sulla croce, moribondo, vede come sarebbe stata la sua vita se non avesse seguito quella voce.
E se il Messia sembra essere il vero protagonista anche de Il Regno (Adelphi) di Emmanuel Carrère che sceglie di seguire le tracce di San Paolo per raccontare la nascita di «quella piccola setta ebraica che sarebbe diventata il cristianesimo», scrittori di culture (e generi) molto diversi lo hanno pedinato: l’inglese Naomi Alderman ne Il vangelo dei bugiardi (Feltrinelli) fa una riscrittura in 4 tempi della vita di Gesù in cui sua madre Maria, Giuda, Caifa e Barabba sono narratori e coprotagonisti, mentre l’irlandese Colm Tóibín ne Il testamento di Maria (Bompiani) vede la Madonna, ormai anziana, ricordare gli eventi che hanno portato alla morte di quel figlio vulnerabile. Il sudcoreano Yi Munyol lo ha messo al centro di un giallo teologico (Il figlio dell’uomo, Bompiani) e lo scozzese John Niven di una commedia surreale (A volte ritorno, Einaudi) che immagina Gesù rimandato da Dio sulla terra per rimediare ai disastri degli uomini.