la Repubblica, 20 agosto 2019
Fu Tremonti a inventare l’Iva come clausola di salvaguardia
ato ROMA – La parola d’ordine adesso è “disinnescarle”. Eppure non più tardi di dicembre, alla vigilia del via libera definitiva alla legge di Bilancio 2019, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti assicurava che «le clausole di salvaguardia sull’Iva sono sempre state fatte. È un escamotage contabile praticato ormai da decenni». In realtà le clausole di salvaguardia risalgono al Ferragosto del 2011, un’estate che per molti versi ricorda quella attuale. Oggi la crisi di governo, allora la crisi del debito sovrano, la corsa a briglia sciolta dello spread, che arrivò a sfiorare quota 400. Prima che la situazione precipitasse, il governo Berlusconi, con Giulio Tremonti ministro dell’Economia, varò in estate ben due manovre correttive, il decreto legge 98/2011 del 6 luglio e 138/2011 del 13 agosto, prevedendo alcune «misure di maggiore entrata a efficacia differita». A copertura della spesa, cioè, si prevedeva la variazione automatica di alcune tasse e imposte (l’Iva, ma anche le accise sui carburanti) per coprire 20 miliardi di spese già in bilancio, qualora tagli o altre coperture non fossero risultate sufficienti. L’autunno vede la caduta del governo Berlusconi: il nuovo governo presieduto da Mario Monti riesce a disinnescare in parte le clausole di salvaguardia, che scendono a 13,4 miliardi. Ma non può evitare l’aumento dell’Iva a partire dal primo luglio 2013, che infatti scatta puntualmente, con il governo Letta: l’Iva ordinaria passa dal 21 al 22%, mentre si riesce a sterilizzare l’aumento dell’aliquota ridotta, che rimane al 10%. Le clausole di salvaguardia attuali sono però quelle della legge di Stabilità 2015, varata dal governo Renzi. Si prevede, sempre come copertura di garanzia, l’aumento dell’aliquota ridotta dal 10 al 12% nel 2016 e fino al 13% nel 2017, e dell’Iva ordinaria dal 22 al 24% nel 2016 e fino al 25,5% dal 2017, per un aumento di gettito di 12,8 miliardi nel 2016, 19,2 miliardi nel 2017 e circa 22 miliardi successivamente. Grazie alla flessibilità ottenuta in sede europea, Renzi riesce a sterilizzare le clausole per il 2016 e a ridurre quelle degli anni a venire, mentre il suo successore Gentiloni nella legge di Bilancio 2018 spende 14,9 miliardi per disinnescarle. Al contrario, per il 2019 la clausola è stata sterilizzata dall’esecutivo Conte totalmente in deficit per un totale di 12,5 miliardi. Ecco perché l’eredità per gli anni successivi è pesante: oltre 23 miliardi nel 2020, 28,8 miliardi nel 2021. Una zavorra del passato, certo, ma almeno raddoppiata dall’attuale governo.