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 2019  agosto 20 Martedì calendario

Come aumentare l’Iva

N on sappiamo ancora quale sarà l’esito della più balneare delle crisi politiche, perché dichiarata dalle arene della Romagna e perché apre scenari da ultima spiaggia. Sappiamo invece che ci attende un periodo di grande incertezza sulle scelte di politica economica del nostro Paese, con un rischio tangibile di uscita dall’Euro. l continua a pagina 31 segue dalla prima pagina S ia che si vada subito a nuove elezioni, sia che ci sia un governo di garanzia che ci porti al voto in primavera, oppure che si arrivi alla formazione di un nuovo governo destinato, almeno sulla carta, a durare l’intera legislatura, arriveremo del tutto impreparati a una sessione di bilancio particolarmente impegnativa. Abbiamo temporaneamente scongiurato una procedura comunitaria per violazione delle regole sul debito impegnandoci a miglioramenti strutturali dei nostri conti pubblici nel 2020. Tutte le forze politiche sostengono di non volere aumentare l’Iva come previsto dai documenti presentati a Bruxelles dal governo Conte, ma senza quell’aumento siamo destinati a sforare e non di poco la soglia del 3% di disavanzo. A quel punto la procedura di infrazione sarebbe inevitabile e, con questa, si avvierebbe una spirale di aumenti degli interessi sul debito pubblico e disavanzi crescenti che potrebbe, volenti o nolenti, portarci fuori dall’Euro, in un contesto internazionale pieno di insidie (dalla Brexit senza un accordo, alle guerre commerciali fra Cina e Stati Uniti, al rallentamento dell’economia tedesca). Ci sono paesi che hanno affrontato senza troppi traumi lunghi periodi di instabilità politica. Pensiamo al Belgio rimasto senza governo per 589 giorni tra il 2010 e il 2011 eppur in grado di registrare una performance economica migliore di Francia, Germania e Regno Unito in quel periodo. Oppure alla Spagna cresciuta di oltre il 3% abbattendo la disoccupazione nei 10 mesi senza governo del 2016. Ma né Belgio né Spagna correvano il rischio di uscire dalla moneta unica. Se vogliamo sperare di ripetere la loro esperienza dobbiamo dimostrare sul campo che siamo in grado di tenere sotto controllo i conti pubblici, con o senza un governo nel pieno delle sue funzioni. Servirà a evitare di continuare a pagare quella tassa sul populismo, che ci ha condannato a pagare interessi sul nostro debito pubblico 4 volte più alti che in Spagna o Portogallo. Servirà a non scoraggiare investitori che potrebbero aiutarci a risolvere i tanti fronti di crisi industriale aperti e a finanziare le startup innovative di cui abbiamo bisogno per ripartire. La scelta più importante da fare nell’immediato riguarda l’aumento dell’Iva. Vale 23 miliardi nel 2020. Un governo credibile, che si impegni a forti risparmi su “quota 100”, ad attuare controlli più stringenti sul Reddito di Cittadinanza e a consolidare i risultati ottenuti con la fatturazione elettronica nel recupero di gettito Iva, potrebbe probabilmente limitarsi a reperire un punto di Pil per neutralizzare quella clausola senza incorrere nelle procedure di infrazione. Ma anche un punto di Pil è tanto per un governo dell’era populista, in cui l’opinione pubblica è portata a pensare che i vincoli di bilancio non esistano, che siano un’invenzione dei burocrati di Bruxelles per limitare la nostra sovranità nazionale. Forse più saggio, a questo punto, rassegnarsi a un aumento selettivo dell’Iva, riducendo la gamma di beni e servizi soggetti all’aliquota del 4% guardando agli effetti distributivi di questa operazione, e armonizzando le aliquote del 10 e del 22 per cento a un livello intermedio, cosa che sarebbe anche di grande aiuto nella riduzione dell’evasione fiscale. La ragione per cui tutti i partiti sostengono di non volere aumentare l’Iva è che nessuno si vuole intestare un così visibile aumento delle tasse. Ma l’impegno a non aumentare le tasse non significa rinunciare a cambiare la composizione del prelievo fiscale che in Italia grava troppo sul lavoro. Un aumento selettivo e ben congegnato dell’Iva aprirebbe lo spazio per riduzioni delle tasse sul lavoro con benefici importanti per la crescita del nostro Paese. Bene ricordarsi che proprio una riduzione della pressione fiscale sul lavoro, abbinata a un aumento dell’Iva è stata la chiave del ritorno alla crescita della Germania agli inizi del nuovo millennio. Allora era la Germania il grande malato d’Europa. Oggi siamo noi a vantare questo triste primato. E una svalutazione fiscale, che fa aumentare il prezzo delle importazioni ma non quello delle esportazioni, cui non si applica l’Iva, è l’unica consentita nella moneta unica. Nell’arco della legislatura questa scelta di sopravvivenza potrebbe tradursi in una riduzione della pressione fiscale giocando sui dividendi della crescita in termini di credibilità esterna del nostro Paese, dunque minore spesa per interessi sul debito. Un altro fattore che permetterà di ridurre le aliquote che gravano sul lavoro è la lotta all’evasione fiscale e contributiva. Anche su questo piano l’eredità del governo Conte è devastante. È stato il governo del condonamento, dei condoni a piacimento, quello che ha inaugurato i condoni contributivi, particolarmente dannosi perché costano due volte (meno entrate e più spese future quando potranno esser fatti valere i contributi condonati per ottenere più prestazioni). È stato il governo che, con il “saldo e stralcio”, ha concesso selettivamente il beneficio dell’abbattimento delle tasse dovute proprio a chi ha sistematicamente non dichiarato i propri redditi al fisco. La battaglia contro l’evasione fiscale e contributiva e per la riduzione della spesa pubblica può essere condotta con efficacia anche senza nuove leggi, anche senza un governo. La si combatte con le banche dati e i controlli preventivi. Quegli stessi controlli che avrebbero evitato il contenzioso che si sta aprendo sul Reddito di Cittadinanza a partire dalle irregolarità riscontrate dalla Guardia di Finanza. Sarà ora molto difficile recuperare le somme indebitamente versate avendo a che fare con persone, almeno sulla carta, con basso reddito. Nelle prossime settimane dovranno essere portate a termine 70 nomine strategiche, tra le quali i presidenti o gli organi direttivi o i Cda di istituzioni fondamentali per la vigilanza sul sistema economico e l’utilizzo delle banche dati amministrative nel contrasto all’evasione: il Garante per la privacy, l’Autorità anticorruzione, l’Inps e l’Inail. Le scelte che verranno fatte in questo contesto sono fondamentali anche come segnale per le altre amministrazioni pubbliche non coinvolte in questa affollata tornata di nomine. Solo amministrazioni in grado di resistere alle pressioni di breve periodo della politica possono farci vincere la battaglia contro l’eccesso di evasione fiscale che contraddistingue il nostro Paese. Oggi più che mai non abbiamo bisogno di governi tecnici, ma di amministrazioni tecnocratiche e indipendenti.