Il Sole 24 Ore, 19 agosto 2019
L’incertezza politica costa 5 miliardi d’interessi extra sul debito
Mentre la politica annuncia tagli alle tasse, si arrovella su come evitare l’aumento dell’Iva e litiga sul calendario, il Governo gialloverde vive un passaggio decisivo (domani Conte riferirà al Senato) lasciando all’Italia una gabella da 2,8 miliardi nel 2019 e da altri 2,3 nel 2020. Un conto che il Paese non avrebbe dovuto pagare se, sui mercati, i BTp e i BoT si fossero comportati come i più tranquilli titoli di Stato spagnoli. E che invece deve onorare: a tanto ammontano infatti gli interessi aggiuntivi, rispetto a quelli che avremmo pagato se avessimo avuto tassi uguali a quelli di un Paese paragonabile all’Italia, come appunto la Spagna, su tutte le emissioni di titoli di Stato effettuate tra maggio 2018 e agosto 2019.
Si tratta di interessi effettivi, non stimati: il calcolo – effettuato per Il Sole 24 Ore da un primario ufficio studi italiano che preferisce non apparire – è realizzato su tutti i titoli di Stato emessi durante il Governo Conte. Dai BoT fino ai BTp. Se è vero che i tassi d’interesse in termini assoluti sono scesi da quando è uscita la prima bozza del contratto di Governo il 15 maggio 2018 (i BTp decennali erano a 1,92% e sono a 1,4% ora), è altrettanto vero che negli altri Paesi un tempo chiamati Pigs i tassi di mercato sono calati molto di più. La Spagna è passata nello stesso periodo dall’1,32% allo 0,15% attuale, il Portogallo dall’1,71% allo 0,18% e l’Irlanda addirittura è scesa sotto zero dall’1,05% del 14 maggio 2018. In un mondo che ormai ha 15mila miliardi di bond a tassi negativi, l’Italia continua insomma a pagare rendimenti anomali. Eccessivi. Questo è il conto dell’incertezza. Del populismo. Della retorica no-euro.
Un anno in altalena
Per capire l’anomalia bisogna guardare al contesto. Da fine 2018 i rendimenti dei titoli di Stato sono scesi in tutto il mondo. Soprattutto nell’area euro: il rallentamento economico unito all’incertezza geopolitica hanno infatti convinto le banche centrali (e la Bce è in prima fila) ad annunciare politiche monetarie più espansive. La Bce dovrebbe tagliare i tassi e avviare un nuovo programma di acquisti di titoli di Stato (il cosiddetto quantitative easing). Queste notizie hanno favorito gli acquisti su tutti i titoli obbligazionari e dunque hanno ridotto i loro rendimenti: ormai il 65% dei titoli di Stato europei paga interessi negativi. Ci sono Paesi, come la Germania o l’Olanda, che raccolgono finanziamenti a rendimenti sotto zero anche per trent’anni. Per capirci: gli Stati si indebitano e alla scadenza restituiscono agli investitori meno soldi di quelli che hanno preso in prestito.
Ma l’Italia è esclusa da questo club: la politica monetaria della Bce da noi ha quindi meno effetto che altrove. Non tanto per quello che il Governo gialloverde ha fatto. Non tanto per le sue scelte di politica economica. Ma per un motivo ben preciso: per la retorica no-euro. Il mercato per mesi ha avuto paura (anche in maniera irrazionale) che l’Italia potesse un giorno uscire dall’euro. Per chi investe in titoli di Stato questo è un problema: gli investitori che prestano euro comprando BTp non vogliono certo farsi restituire lire svalutate alla scadenza. Per cui ogni scontro con Bruxelles è stato interpretato per tutto l’anno dal mercato – a torto o ragione – come la possibile anticamera di Italexit. Questo è il motivo principale (insieme all’allergia per la disciplina di bilancio) per cui i tassi d’interesse sui titoli di Stato italiani sono più elevati che altrove: perché incorporano (e soprattutto hanno incorporato) il rischio di ridenominazione in una valuta più debole. Quando gli investitori sono convinti di rischiare di più, chiedono tassi più alti.
Il costo per Stato, banche e imprese
Qui non si tratta di giudicare il Governo. Il punto è un altro: se solo l’Italia avesse ridotto i rendimenti dei titoli di Stato come hanno fatto gli altri Paesi, anche quelli un tempo in crisi come la Spagna o il Portogallo, oggi avremmo qualche miliardo di interessi da pagare in meno. Come detto, 2,8 solo tra maggio 2018 e dicembre 2019. Il conto è stato fatto prendendo le emissioni di titoli di Stato di ogni mese, e calcolando il loro costo annuo aggiuntivo rispetto ai rendimenti di durata analoga pagata dai titoli di Stato spagnoli. E dato che i titoli di durata superiore a un anno emessi nel 2019 continueranno a pagare le cedole anche nel 2020, l’extra-costo viene traslato anche all’anno prossimo: solo per le emissioni già effettuate da maggio 2018 ad agosto 2019, nel 2020 l’Italia avrà dunque 2,3 miliardi di interessi aggiuntivi. Conto al quale andranno sommati gli interessi dei titoli ancora da emettere.
E non è solo lo Stato a soffrire: dato che lo spread dei BTp trascina verso l’alto anche i rendimenti di tutte le obbligazioni italiane, da quelle delle banche a quelle delle imprese, un conto (più difficile da quantificare) è stato pagato anche da loro. Nel Paese che avrebbe bisogno di fondi per investire e per assumere lavoratori, ne avremmo fatto volentieri a meno.