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 2019  agosto 19 Lunedì calendario

Quando Chiaromonte scriveva a Camus: "Sartre è un gangster culturale"


La loro amicizia nacque nella primavera del 1941, davanti al mare, in Algeria. «Ce ne andammo in bicicletta oltre Mers-el-Kebir su una spiaggia deserta – scrisse Nicola Chiaromonte, filosofo e politico, molti anni più tardi, nel 1960, ricordando Albert Camus, appena morto in un tragico incidente stradale -. Non si parlò troppo neppure allora, ma si disse molto bene del mare, come di un oggetto nel quale non c’è niente da capire, eppure è inesauribile e non stanca mai». Quel giorno Nicola e Albert non discussero di politica, letteratura o filosofia, argomenti ricorrenti nelle lettere che si scriveranno poi tra il 1945 fino al ’59, ma «restarono in silenzio e la bellezza venne a loro – sottolinea Samantha Novello -. Si scambiarono l’amore per il mare». Nacque «un’amicizia così forte, così pudica», come la descrisse Camus. Un’amicizia tra uomini d’altri tempi.
La Novello, professoressa di storia e filosofia in un liceo scientifico di Firenze, è diventata anche una delle maggiori specialiste di Camus, tanto che Gallimard le ha affidato l’edizione, appena pubblicata in Francia, di questa Corrispondenza, insolita e sconosciuta. Chiaromonte arrivò a Parigi nel 1934, fuggendo il fascismo, militante di Giustizia e libertà. Partirà come mitragliere nell’aviazione repubblicana organizzata in Spagna da André Malraux, ma ritornerà in Francia appena i comunisti prenderanno il sopravvento su chi combatteva Franco. Già allora Chiaromonte era un intellettuale di sinistra (influenzato dalla tradizione anarchica e dal socialismo utopistico di Pierre-Joseph Proudhon), antifascista ma contrario a un antifascismo militante «semplice negazione della negazione». Rifiutava ogni tipo di dogmatismo, comunista in particolare.
Conosciuto per aver fondato più tardi con Ignazio Silone la rivista Tempo presente, a Roma, nel 1956, si ritrovò subito con uno come Camus, che prese le distanze dal comunismo da giovanissimo. Erano due libertari, sognatori, che anche nelle lettere combattevano ogni forma di nichilismo, inteso in un senso nietzschiano «come negazione assoluta di dare un senso alle cose e come risentimento che riduce in niente l’altro che la pensa diversamente da te», sottolinea la Novello. Nel 1940, con l’entrata in guerra dell’Italia e la conquista di Parigi da parte dei nazisti, Chiaromonte fuggì verso il Sud della Francia con la moglie Annie Pohl, che morì, sfinita da quell’odissea. Affranto, Nicola se ne andò in Algeria: nell’attesa di ottenere il visto per gli Usa, amici comuni gli presentarono Camus e la moglie Francine Faure, che accettarono di nasconderlo a casa loro a Orano (Chiaromonte era ormai ricercato dalla polizia collaborazionista). È lì che i due andarono insieme alla famosa spiaggia.
L’amicizia preziosa
L’italiano poi emigrerà a New York, dove fonderà con Dwight Macdonald la rivista Politics. Con Albert si rifarà vivo grazie a una prima lettera due giorni dopo il lancio della bomba atomica a Hiroshima. Nicola gli dice che la sua amicizia gli è «preziosa, perché ci vorranno molti amici in Europa, per risalire verso una vita degna». L’epistolario iniziò allora e s’interruppe solo quando Chiaromonte, con la nuova moglie, Miriam Rosenthal, ritornò a Parigi, nel 1947: ci rimase fino al 1952, quando la coppia si trasferirà a Roma. Così ricominceranno a scriversi e già in una lettera del 18 settembre, Chiaromonte sostiene Camus nella polemica scoppiata contro di lui dopo l’uscita dell’Uomo in rivolta, alimentata da Les Temps Modernes, diretto da Jean-Paul Sartre, che rigetta il rifiuto di Albert del marxismo e dello stalinismo. Nicola parla di «gangsterismo culturale» a proposito di Sartre.
Nel 1952 Chiaromonte era partito da un giorno all’altro da Parigi. In una struggente missiva del 9 febbraio 1954 racconta finalmente il perché all’amico. Aveva avuto una storia con Patricia Blake, intellettuale americana, moglie del compositore russo Nicolas Nabokov. E, per salvare il suo matrimonio, aveva deciso di punto in bianco di andarsene. Si scusa con Albert per non avergliene parlato, ma lo stesso Camus aveva avuto una storia con Patricia, allora studentessa di letteratura, nel 1946, durante un viaggio a New York. Bellissime le lettere che seguono di Albert (che tradiva la sua Francine) sull’adulterio: «Solo certi esseri, privilegiati, sanno non giudicare mai. Sono una fonte di libertà, vi liberano nel senso proprio della parola ed è per questo che l’amore che si prova per loro si colora di una meravigliosa gratitudine». I due uomini iniziarono così a confidarsi anche sulla vita privata, a «parlare di donne». Senza ipocrisie, sinceri sulle proprie fragilità. Mai volgari.