La Stampa, 19 agosto 2019
Bava di lumaca e vino. L’Italia è il primo Paese per numero di aziende bio, il secondo maggior esportatore di prodotti biologici nel mondo
Purissima, antirughe, ricca di vitamine. La bava della lumaca è una miniera d’oro, un elisir eco-bio, ma non certo economico, che sta spingendo un buon numero di giovani agricoltori a farsi trascinare nel mercato dei prodotti di bellezza. La nuova moda ecologica nei consumi è la cosmesi, un settore che dal 2015 cresce a ritmo forsennato, +15% di anno in anno. «Lombardia, Umbria e Basilicata guidano la rivoluzione. Sono piccole aziende che già allevavano chiocciole», per l’alimentazione e non solo, «si sono messe in contatto con noi per aprire una produzione certificata di creme alla bava di lumaca», spiega Fabio Bianciardi, esperto nel settore delle certificazioni ecocompatibili. I prezzi di queste soluzioni tutte naturali veleggiano sui 50 euro, ma anche di più. Sono solo uno dei nuovi beni, che incarnano il «boom» del bio in Italia, un business arrivato a toccare 1,3 miliardi di fatturato negli ultimi dodici mesi e che nel 2018 ha modificato la spesa di 11 milioni di persone. Che, però, caricano su di sé buona parte dei costi di una scelta amica della salute e dell’ambiente.
Se non si può dire che il «bio» sia un settore di nicchia, gli italiani non gli dedicano comunque molti soldi. Spendiamo 52 euro l’anno in prodotti eco-compatibili (più o meno come in Belgio, la Spagna ne spende 42, la Svezia 237). Ci siamo innamorati di una vita come «bio» comanda nel 2000, «ma solo nel 2016 la tendenza si è fatta sentire, occupando il 3% del mercato», spiega Paolo Carnemolla, segretario di Federbio. Oggi, siamo al 3,6%, la crescita è inarrestabile, «i prodotti dell’agricoltura biologica sono entrati in modo massiccio nei supermercati, non c’è grande marchio che non abbia aperto la sua linea bio». Sono state Svezia e Danimarca a convincere i big italiani della pasta, ad esempio, o il settore del vino a cambiare i cicli produttivi e usare tecniche naturali di coltivazione e lavorazione: «Senza il bio, hanno minacciato, non avrebbero più importato nulla dall’Italia», continua. Oggi, il vino biologico e biodinamico nel nostro Paese sono la vera tendenza, le cantine più famose si stanno adeguando a gran velocità.
L’Italia è tra i leader della produzione biologica a livello globale, è il primo Paese per numero di aziende, il secondo maggior esportatore di prodotti biologici nel mondo, dopo gli Usa, per un valore di 2 miliardi di euro, e in cima alla lista degli alimenti ci sono cereali (siamo subito dietro la Cina), agrumi, olio, frutta e ortaggi, coltivati senza l’uso di antibiotici e pesticidi.
I costi
Ma se una vita all’insegna della biodiversità e a basso impatto ambientale è una boccata d’ossigeno per il consumatore, i terreni agricoli e le comunità che attorno a quei territori abitano, a pagare la maggior parte delle spese del prodotto bio che finisce nel carrello è il cliente. «Mediamente, la differenza tra il biologico e il convenzionale si aggira attorno al 20-30% – spiega Carnemolla -, anche se ci sono prodotti come la pasta che toccano punte del 40% in più, e va detto che non è sempre giustificata la maggiorazione nel prezzo, a fronte del tipo di grano lavorato». Il bio-rincaro può arrivare fino al 200-300%, per altre tipologie di prodotto. Il Censis ha introdotto i beni di consumo biologici nel paniere. Stima che 20 milioni di italiani sarebbero disposti a comprare alimenti «free from», se questi costassero solo fino a un terzo in più, ma questo tetto ideale non sempre è rispettato. É bene sapere che, nella psicologia del consumatore, la molla che fa scattare l’acquisto è, sì, la qualità, ma soprattutto la pubblicità. Assobio spiega: «Quando una catena della grande distribuzione sconta del 25% per un mese la linea bio di prodotti di bellezza, a parità di venduto, i suoi ricavi scendono solo del 2%». Se non cambiano le politiche, insomma, i prezzi del bio scenderanno solo se si moltiplicheranno i consumatori. —