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 2019  agosto 19 Lunedì calendario

Intervista a Jean-Claude Trichet che per l’Italia invoca riforme

«L’area euro è due volte più dipendente dal commercio internazionale dell’America. La Germania è colpita duramente ma la situazione è altrettanto pericolosa per l’Italia che è un forte Paese manifatturiero. E per il vostro Paese c’è anche la sfida di dover convincere ogni giorno gli investitori della propria affidabilità. È una sfida non priva di rischi, ma l’Italia ci ha abituati a tenerci col fiato sospeso».
Jean-Claude Trichet, già presidente della Bce dal 2003 al 2011, si dimostra preoccupato per le tensioni internazionali e anche per gli equilibri interni dei diversi Paesi: «Vedete – ci dice senza ironia dal suo buen retiro in Bretagna – l’Italia, ottava potenza mondiale, per tutte le altre economie industriali è una sorta di esperimento da laboratorio».
Un esperimento?
«Per diverse ragioni, quello che succede in Italia deve essere tenuto costantemente sott’occhio dalle altre democrazie avanzate. Dopo la tempesta di Mani Pulite ci sono stati analoghi episodi giudiziari altrove. In un certo senso Berlusconi, un uomo d’affari di successo con una profonda consapevolezza della tv e degli altri mass media, ha anticipato la vittoria di Trump. Anche l’innaturale unione dei due partiti di governo, comunque vada a finire, con le loro pulsioni anti-establishment, merita un’attenta analisi all’estero. Peraltro, quando si va a chiedere ai cittadini italiani se si sentono bene dentro l’euro, una netta maggioranza è per il sì, nella media degli altri Paesi».
Ma lei la scriverebbe di nuovo una lettera all’Italia come quella che firmò insieme a Draghi, al momento della transizione al vertice della Bce esattamente otto anni, fa indicando i provvedimenti da prendere?
«Le ricordo che la situazione era drammatica oltre ogni limite. Una rampante speculazione minacciava di distruggere Italia e Spagna e stava attaccando un insieme di Paesi pari al 40% del Pil dell’area. Noi scrivemmo al governo italiano e a quello spagnolo, e contemporaneamente avviammo massicci acquisti di titoli dei due Paesi sul mercato secondario. Così fu evitato il peggio. Devo dire che l’Italia ha accolto negli anni successivi con i governi Monti, Letta e Renzi diverse nostre raccomandazioni, dalla riforma del mercato del lavoro a quella delle pensioni. Se lo rifarei?
Fortunatamente né l’Italia né la Spagna sono oggi in situazioni altrettanto drammatiche. In ogni caso, non ho più il mandato: ma l’urgenza di riforme strutturali rimane valida per tutti i Paesi».
Ora siamo alla vigilia di una nuova ondata di aiuti da parte della Bce, che andranno a beneficiare in particolare l’Italia. Olli Rehn, governatore finlandese e membro del consiglio direttivo dell’Eurotower, ha dato praticamente per certi alla prossima riunione del 12 settembre il Quantitative easing 2 e l’ennesimo taglio dei tassi. Lei è d’accordo con queste misure?
«Come sapete la Bce ha solo un portavoce che è Mario Draghi. In termini di annunci e preannunci di cosa potrà essere deciso dalla banca, è ciò che il presidente ha detto nell’ultima conferenza stampa a fine luglio che conta, non necessariamente quello che dicono singoli membri del board. Certo, è vero che Draghi ha assicurato che il board è determinato ad agire e che è pronto ad aggiustare tutti gli strumenti di cui dispone per assicurare che l’inflazione si muova nella direzione voluta. In ogni caso sono sicuro che la Bce aveva fatto la cosa giusta con le precedenti misure e sono pienamente fiducioso che continuerà a farlo. La banca, va puntualizzato, è guidata solo dall’inflazione che si mantiene ostinatamente sotto il livello di guardia».
Bassa crescita e bassa inflazione però corrono in parallelo. Con quali speranze di risollevarsi?
«L’inflazione è una sorta di mistero.
Dovunque nel mondo industrializzato è anormalmente bassa. Dipende da un mix di globalizzazione, e-commerce, economia digitale, tecnologia, demografia sfavorevole, una dinamica salariale stranamente moderata anche in Paesi dalla piena occupazione. Il rischio di deflazione, che significa paralisi totale, è attuale, e perciò fa bene la Bce ad essere determinata ad agire. Ma le banche centrali, che adottano la stessa politica di allentamento monetario, non possono essere lasciate sole a combattere: l’unica risposta convincente è che tutti gli attori, dai governi ai privati, dimostrino la stessa determinazione impostando misure concrete a favore della crescita. Ciò significa riforme strutturali in molti Paesi e azioni di bilancio pubblico dove invece c’è spazio di manovra. Sperando di tirarsi fuori dalla guerra commerciale, portata avanti da Trump a un punto tale che dobbiamo essere preparati a tutto compresa una recessione in America che avrebbe pesanti conseguenze in Europa».
La Germania è la prima a rischiare vista la sua forte esposizione sul fronte dell’export, come dimostrano i deludenti dati delle ultime settimane?
«Berlino ha un significativo margine di manovra fiscale e macroeconomico, e dovrebbe grazie a questo stimolare attivamente la domanda interna e avviare un’importante politica di investimenti pubblici. Ma realisticamente credo che su questa via si muoverà».
L’istituzione-Europa viene accusata di non saper rispondere efficacemente alle crisi, non ha nessuna colpa?
«L’Europa, che è nata in Italia con il Trattato di Roma, è un progetto molto ambizioso. I progressi conseguiti sono impressionanti, ma altri dovranno seguire. Vanno completati senza esitazioni l’unione bancaria e il mercato comune dei capitali, e su questo già insiste la nuova presidente della commissione Ursula von der Leyen. Vanno migliorati i meccanismi decisionali nell’Esm, il “fondo salva Stati” che ha un’impressionante capitale attivabile di oltre 700 miliardi. Va istituito il ministro europeo della Finanze per rinforzare la governance fiscale, economica e finanziaria. Vanno ampliate le responsabilità del Parlamento di Strasburgo a favore della “democratic accountability” facendo cioè in modo che i membri eletti possano intervenire al momento di cruciali decisioni che riguardano il loro Paese tipo la crisi greca. E va costituito un budget europeo per aiutare gli Stati a fare le riforme».
Anche con gli eurobond?
«Non ancora. Ma cominciamo con il creare il budget, altri passi potranno seguire. Mi faccia aggiungere fra le emergenze al di fuori della sfera economica la necessità di migliorare la sicurezza interna ed esterna, di una difesa comune e di una razionale politica comune sull’immigrazione, un problema drammatico e cruciale per l’Italia».
Ma la risposta è lasciare in giro per il mare centinaia di disperati?
«Certo che no. Però il problema va affrontato immediatamente tutti insieme. È un caso in cui c’è bisogno di più Europa, non di meno Europa».