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 2019  agosto 19 Lunedì calendario

Simon Gautier è stato ritrovato cadavere in un burrone

San Giovanni a Piro (Salerno). Un punto nero in mezzo alla macchia mediterranea. L’uomo del Soccorso Alpino l’ha visto comparire mentre con il binocolo perlustrava il fondo di un burrone. Era lo zaino di Simon Gautier e lì accanto c’era il suo cadavere.
Lo hanno trovato così, Simon, ieri pomeriggio alle 19.30. I suoi 27 anni sono finiti ai piedi di un roccione in una località che si chiama Belvedere di Ciolandrea, nel Comune di San Giovanni a Piro (Salerno). I suoi occhi si sono chiusi per sempre sull’azzurro del mare che da lì si vede poco più in basso. «Ho le gambe rotte, sto morendo di dolore, non so dove sono, ma vedo il mare» aveva detto lui nella telefonata al 118 con la quale aveva chiesto aiuto subito dopo la caduta.
Era la mattina di venerdì 9, ore 8.57. Non sono bastate indagini e ipotesi per capire che sentiero potesse aver preso quel francese che al telefono implorava aiuto. Non sono bastati centinaia di uomini fra Vigili del fuoco, soccorso alpino, carabinieri, Protezione civile, soccorso alpino della Guardia di finanza, volontari vari. Non è bastato l’impiego di strumenti tecnologici avanzatissimi per cercare di localizzarlo. E non sono bastati nemmeno i suoi venti amici arrivati dalla Francia per aiutare i soccorritori nelle ricerche.
Alle 8.57 di quel venerdì lui ha dato l’allarme, da allora in poi non ha mai più risposto al cellulare e dal tardo pomeriggio di quello stesso giorno il telefonino si è spento. Forse già nelle prossime ore sapremo se Simon è morto poco dopo la telefonata o se il suo fisico ha resistito per giorni.
Il fatto che non abbia mai risposto alle chiamate dei soccorritori autorizza a pensare che abbia quantomeno perduto i sensi, e comunque una cosa è sembrata chiara fin da quella lunga telefonata al 118 che in questi giorni ha fatto il giro del web: lui era confuso, spaventato.
Sua madre, Delphine Godard, è arrivata in Italia a cercarlo convinta che qualcosa non avesse funzionato nella macchina dei soccorsi, che ci fossero stati dei ritardi fra l’allarme e il primo elicottero che si è alzato in volo per una ricognizione.
Ma due giorni fa le hanno spiegato ogni passaggio delle ricerche, le hanno mostrato le immagini girate dai droni e la mappa tracciata dai Vigili del fuoco sulle aree già battute.
Alla fine dell’incontro lei ha abbassato gli occhi, ha pianto e ha abbracciato tutti. Aveva capito le difficoltà enormi di chi lo stava cercando e aveva pensato, per la prima volta, che il lumicino della speranza ormai era quasi spento.
Torniamo a Simon, alla chiamata d’aiuto. Quando è caduto ha telefonato prima a un’amica che però non ha risposto. Allora ha digitato il 112. Ma nel punto roccioso in cui si trovava il segnale delle celle telefoniche rimbalza, per usare un termine che dia l’idea. Quindi la chiamata di Simon non è arrivata ai carabinieri a lui più vicini (nel Cilento, in Campania) ma a quelli di Lagonegro, cioè il territorio della costa di fronte a quella in cui lui si trovava, la Basilicata.
Non sono bastati centinaia di uomini delle forze dell’ordine e del soccorso alpino e nemmeno i suoi venti amici arrivati dalla Francia. Ora l’autopsia
dovrà dire se Gautier è deceduto subito o se ha resistito per giorni
I carabinieri Di Lagonegro chiedono indicazioni sul luogo, ma lui non sa dire dov’è, allora passano la telefonata al 118 più vicino, sempre in Basilicata – perché i medici capiscano meglio le condizioni di salute del ragazzo – e nel frattempo avviano comunque le procedure di ricerca nel territorio del Potentino.
Si prova a localizzarlo, ma la sfortuna vuole che lì dov’è, il cellulare di Simon agganci tre celle di confine fra le province di Potenza, Matera, Cosenza e Salerno: 143 chilometri quadrati. Un elicottero non saprebbe dove cercarlo, i soccorritori hanno bisogno di restringere il campo.
Ma per farlo servono indagini, testimonianze, richieste da presentare in Procura e tutto questo vuol dire ore perdute di tempo prezioso.
Nello scambio di informazioni con il 118, i carabinieri vengono a sapere che lui ha detto all’operatrice di essere partito da Policastro e di aver campeggiato da qualche parte lì.
E allora comincia la ricerca nei campeggi, la visione delle telecamere, la caccia a testimoni che possano averlo visto. Da Roma (dove lui viveva) una sua amica manda a chi lo cerca il computer di Simon e si scoprono ricerche su Google che riguardano una zona precisa. Insomma: più passano i giorni più si restringe l’area in cui concentrarsi. Anche perché qualcuno finalmente ricorda «un ragazzo con il codino e con una tenda sullo zaino» che la sera di giovedì 8 aveva tutta l’aria di chi voleva fermarsi a dormire in una spiaggetta di San Giovanni a Piro. È la svolta.
Si parte da quella spiaggetta con un’altra informazione: lui aveva spento il cellulare la sera del giovedì e lo aveva riacceso alle sei e mezza del venerdì mattina. Quindi la domanda a questo punto è: quanta strada può aver fatto, partendo dalla spiaggetta alle 6.30, fino alla chiamata di soccorso delle 8.57?
I soccorritori si dividono le zone di ricerca. Il soccorso alpino sceglie di piazzare il suo campo su un pratone in cima a uno dei tanti posti impervi di quest’area.
Da lì partono sentieri che magari all’inizio sembrano dolci, ma che in alcuni casi diventano rapidamente impossibili.
Facilissimo perdersi. Dev’essersi perso, Simon. Per questo si è trovato davanti alla roccia enorme che probabilmente ha provato a superare precipitando. Poi quella chiamata. «Ho le due gambe rotte. Sto morendo di dolore».