Corriere della Sera, 19 agosto 2019
Taglio delle tasse e aumento dei salri minimi. Così il presidente argentino Macri cerca il riscatto
È l’ora di tranquillizzare il Paese e i mercati finanziari, che hanno gettato l’Argentina ancora una volta sull’orlo dell’abisso. Lo pensano sia il presidente Mauricio Macri, «anatra zoppa» con remote speranze di rielezione a fine ottobre, sia il suo avversario peronista Alberto Fernández, trionfatore a sorpresa delle primarie di domenica scorsa.
Macri (del partito di destra Proposta Repubblicana) ha deciso di sacrificare il suo ministro dell’Economia per dare credibilità a un pacchetto anticrisi di emergenza: esce di scena Nicolás Dujovne, in carica dell’inizio del 2017, ed entra Hernán Lacunza, che ha già svolto una funzione analoga nella provincia di Buenos Aires. Dujovne viene simbolicamente immolato essendo l’uomo che ha portato a casa l’accordo con il Fondo Monetario per 57 miliardi di dollari dello scorso anno, pacchetto che ha contribuito non poco al crollo di popolarità del governo Macri: percepito come inutile, il segnale di un ritorno all’austerità, se non del tutto umiliante per l’Argentina.
La gestione attuale dell’economia è un fallimento, oltre ogni dubbio e Macri è ora costretto ad ammetterlo. Il denaro dell’Fmi avrebbe dovuto sostenere la quotazione del peso, quindi aiutare a controllare l’inflazione e rimettere in carreggiata un’economia debole. Invece è successo il contrario: soltanto nella prima metà dell’anno i prezzi sono cresciuti del 22 per cento, uno dei tassi più alti al mondo, e l’economia è in recessione. Un terzo della popolazione è tornato sotto la linea di povertà.
Verso il voto
La preoccupazione è il voto del 27 ottobre: l’opposizione peronista è in vantaggio
Dopo aver letto i risultati delle primarie (il presidente in carica è indietro di 15 punti rispetto a Fernández, erede del Partito Giustizialista) e vista la reazione disperata dei mercati (i quali temono il ritorno delle politiche populiste dell’era Kirchner), Macri ha deciso di lanciare un pacchetto anticrisi, che Dujovne, da buon economista liberista, non poteva accettare.
Prevede l’aumento del salario minimo del 25 per cento, il congelamento dei prezzi della benzina per 90 giorni, il taglio delle tasse per i meno abbienti e aumenti degli assegni sociali a studenti e famiglie povere.
Staffetta
Lascia Dujovne che aveva negoziato l’accordo con l’Fmi, al governo entra Lacunza
Facile intravvedere dietro queste misure un tentativo disperato per Macri di recuperare consensi, far tornare a casa quei voti che erano piovuti su di lui nelle presidenziali del 2015 per dire basta al lungo dominio del kirchnerismo e del suo populismo in economia, in vista del voto del 27 ottobre. Per questo oggi anche il suo rivale Fernández, che abbia o meno la vittoria in tasca, ha bisogno che il fantasma di un nuovo crac argentino si allontani e i mercati si calmino.
In due interviste rilasciate nel fine settimana, il candidato peronista ha cercato di tranquillizzare il Paese e il mondo. «Con me l’economia non chiuderà», ha risposto su La Nación al presidente brasiliano Jair Bolsonaro che aveva addirittura minacciato di far saltare per aria il Mercosur in caso di ritorno al potere dei peronisti. «Dobbiamo andare oltre il kirchnerismo – ha detto al Clarín — e smetterla con il muro contro muro del passato».