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 2019  agosto 19 Lunedì calendario

Il mondo invaso da un esercito di turisti e i sindaci mettono regole e balzelli per fermare il degrado

Dubrovnik, l’antica Ragusa, è una splendida città murata, con imponenti bastioni che raccolgono un centro storico di poche centinaia di metri per lato. Gli abitanti del reticolo di viuzze medievali sono meno di 1.500 e nelle più affollate giornate estive si trovano circondati da un numero di turisti che è almeno 10 volte superiore. I negozi di alimentari rimasti in centro sono quattro, quelli di souvenir 107 e i ristoranti 143. Un incubo.
Per salvaguardare città e abitanti l’Unesco ha proposto di ridurre i visitatori a 8mila; il sindaco, Mato Frankovic, ha fissato un obiettivo ancora più ambizioso: 4mila. Per avvicinarsi alla meta poche settimane fa ha firmato un’intesa con la Clia, l’associazione internazionale che raggruppa gli armatori di navi da crociera, che portano ogni anno in città 800mila persone. Obiettivo: gestire l’accesso dei croceristi; in pratica contingentare gli arrivi.
STATE A CASA
Fino a qualche anno fa l’idea che un sindaco si proponesse come obiettivo quello di ridurre i turisti, con la conseguente perdita di affari e fatturato, era poco meno che fantascientifica. Ora è una specie di parola d’ordine tra i primi cittadini delle capitali d’arte di mezzo mondo. Il grande nemico contro cui tutti lottano è sintetizzato da un termine appena nato: overtourism, l’eccesso di turismo che mette pericolosamente alla prova strutture fisiche e la stessa vita sociale degli abitanti. Il fenomeno, in incubazione da anni, è esploso di recente. La stessa parola, overtourism, è entrata nell’Oxford Dictionary solo nel 2018 e sempre nel 2018 è stata inserita tra le 10 parole dell’anno. A rendere scottante il tema sono i numeri. Secondo l’organizzazione mondiale dell’Onu che si occupa del settore (Unwto) i turisti che hanno varcato una frontiera nel corso del 2017 sono stati 1,3 miliardi, il doppio che nel 2000, quattro volte tanto che nel 1980. Quasi 700 milioni si sono mossi in Europa. Se si andrà avanti così a livello globale i viaggiatori diventeranno due miliardi entro il 2030. In pratica quasi un abitante della terra su sei si è trasformato in turista e il rapporto crescerà fino a un abitante su cinque.
L’invasione riguarda in prima linea l’Europa, meta dei viaggiatori provenienti da tutto il mondo. Ma i turisti arriveranno soprattutto dai Paesi asiatici: viaggiare, e soprattutto viaggiare nel Vecchio Continente, è la nuova priorità-status symbol delle borghesie emergenti di Paesi come la Cina o l’India. Dal 2000 a oggi il numero di cinesi in viaggio all’estero è cresciuto del 1380%, passando da 10,5 a 145 milioni. Le previsioni parlano di 400 milioni di visitatori in arrivo da Pechino e dintorni entro il 2030. Per l’India le stime sono solo di poco inferiori.
Proprio l’ondata proveniente dal Far East ha provocato fenomeni curiosi. Hallstatt, per esempio, è un graziosissimo paesino sulla sponda occidentale dell’omonimo lago, nella regione del Salzkammergut, in Austria. In Asia ha finito per rappresentare l’idilliaca cartolina del borgo alpino. Risultato: tutti vogliono andarci. Nel 2018 i 776 abitanti hanno dovuto fare i conti con la bellezza di 19.344 autobus turistici che hanno portato nelle quattro o cinque vie del paesino quasi un milione di visitatori. In buona misura si trattava dei turisti più temuti: i partecipanti ai tour cinesi tutto compreso. Più o meno in due settimane e con partenza spesso da una capitale dell’Europa orientale per risparmiare sui costi, visitano almeno cinque Paesi europei, con soste calcolate al minuto e a malapena sufficienti per un stop in bagno. Un esempio perfetto di quello che gli esperti chiamano turismo predatorio, che sfrutta fin quasi al limite dell’infarto le infrastrutture esistenti senza che la comunità interessata ne ricavi alcun vantaggio sostanziale. Da quest’anno però, il sindaco del centro austriaco, disperato, ha iniziato a introdurre dei limiti: prima tutto il fatto che ora nei parcheggi non si può sostare per meno di 150 minuti. Chi va via prima paga comunque e il posto rimane vuoto. In pratica chi vuole visitare Hallstatt deve darsi il tempo effettivo per farlo.
QUI NON SI PASSA
Limiti e restrizioni più o meno soft sono diventati in molti casi la regola. Ma in qualche caso si è arrivati a veri e propri divieti di accesso. Maya Bay, la spiaggia thailandese resa famosa dal film «The beach» con Leonardo di Caprio rimarrà chiusa per decisione del governo fino al 2021, giusto il tempo di rimediare ai danni dell’inquinamento e di sconfiggere l’erosione delle barriere coralline causata dalla folla dei visitatori.
Il filippino Rodrigo Duterte ha chiuso invece per sei mesi Boracay, tra le spiagge più belle del Paese: «Il turismo l’ha trasformata in un cesso», ha spiegato il sanguigno presidente, che ha detto sì alla riapertura, qualche mese fa, solo dopo aver introdotto una serie di restrizioni severe. Una strada diversa ha scelto il Bhutan, che ha imposto una spesa minima di 250 dollari per chi vuole entrare nel Regno. L’isola di Pasqua ha abbreviato e rese più severe le regole per ottenere il visto d’entrata.
Un’altra soluzione, spesso minacciata e a volte anche praticata, è il numero chiuso, che in Italia viene ormai applicato in numerose spiagge sarde, ma che per ovvi motivi si cerca di evitare. Quest’anno il tema ha visto contrapposti il sindaco di Riomaggiore, nelle Cinque Terre, da anni prese d’assalto e le Ferrovie dello Stato. Il primo cittadino aveva emesso un’ordinanza che poneva un limite al numero di persone ammesse sulle banchine ferroviarie. Il provvedimento è stato motivato da ragioni di sicurezza ma aveva anche l’obiettivo di costringere a prenotare arrivi e partenze via treno, di fatto limitandoli. Portata di fronte al Tar, l’ordinanza ha superato l’esame dei giudici amministrativi.
La prima città ad applicare un vero numero chiuso potrebbe essere Venezia, considerata la vera e propria capitale mondiale dell’overtourism, con i suoi 22 milioni di visitatori annui, che ha già introdotto i tornelli (sia pure a livello sperimentale) nelle zone di maggiore afflusso. Ai tornelli si è aggiunta anche la tassa per accedere al centro storico: la sua introduzione era già prevista quest’anno, ma per il momento si è deciso il rinvio al 2020.
Venezia, come Amsterdam, Barcellona e le altre città vittime dell’eccesso di turismo devono fare i conti tra l’altro con il proliferare degli affitti turistici che «spiazzano» i residenti costretti a fare i conti con un mercato immobiliare dai costi insostenibili. Di fronte al problema le misure adottate sono diverse da caso a caso: da un «tetto» al numero di appartamenti potenzialmente a disposizione per le locazioni di breve periodo, fino a un aumento delle tasse. Sia in Olanda sia in Catalogna il fenomeno è diventato un tema caldo a livello elettorale, con la contrapposizione tra due schieramenti, quello dell’industria turistica da un lato e dei comitati cittadini che subiscono l’assalto dei visitatori senza averne alcun vantaggio.
GLI «SCONSIGLI»
Intanto, per la prima volta, stanno diventando popolari quelle che si potrebbero definire guide turistiche al contrario. Non la segnalazione delle località da visitare, ma quelle piuttosto da evitare. «Fodor’s», per esempio, casa editrice anglosassone specializzata in manuali e letteratura di viaggio, pubblica ogni anno una lista dei «not-to-go- places», posti in cui non andare.
Accanto al sovraffollamento vengono presi in considerazione altri criteri, come la sicurezza e la sostenibilità ambientale. In cima alla classifica per il 2019 ci sono tutti i santuari del sovraffollamento: le isole Galapagos, il tempio indiano del Taj Mahal, il Machu Picchu in Perù, Amsterdam, Venezia, l’isola greca di Santorini, le isole Koh Khai, non lontane dalla tailandese Phuket. Ma non è con questi metodi che si risolverà il problema: per ogni viaggiatore turisticamente corretto che deciderà di evitare le località più affollate ci saranno sempre almeno un paio di cinesi pronti a prendere il suo posto.