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 2019  agosto 19 Lunedì calendario

Sui populisti

WIMBLEDONX
A meno di 24 ore dall’apertura ufficiale della crisi di governo, con il discorso in Senato del presidente Conte e le sue probabili dimissioni, possiamo iniziare a mettere qualche punto fermo nella “crisi più pazza del mondo”. Primo, la giornata di ieri segna una svolta. Il vertice nella villa di Beppe Grillo a Marina di Bibbona (scoperto dai giornalisti del Tirreno) taglia infatti la strada a quanti, tra i leghisti e nello stesso gruppo dirigente M5S, speravano ancora in un ritorno alla vecchia formula gialloverde. Nonostante tutti i tentativi di Matteo Salvini, non si potrà andare avanti come se nulla sia successo dall’8 agosto in poi, quando in maniera del tutto inaspettata il leader della Lega tolse la fiducia al presidente del Consiglio con un comunicato stampa. Nessuna retromarcia. Anche nel Carroccio sembra sia arrivata la presa d’atto di questa irreversibilità della crisi. Tanto che il comunicato congiunto dei due capigruppo della Lega – “Se i grillini preferiscono Renzi lo dicano chiaro, gli italiani sapranno chi scegliere” – ieri sembrava scritto apposta per provocare una reazione uguale e contraria dei grillini, puntualmente arrivata. Siamo al classico gioco del cerino, con Salvini che punta ad accreditare la tesi del grande complotto anti-urne dei “soliti poltronisti”. Di cui, ovviamente la Lega sarebbe la sola vittima incolpevole.
Il secondo punto fermo è che, dopo la discesa in campo di Romano Prodi, ormai tutto il gruppo dirigente dei dem – a esclusione del segretario Nicola Zingaretti e di Carlo Calenda – si è espresso a favore di un governo politico con i Cinque Stelle o di una maggioranza Ursula (sottocategoria del primo, ma con l’aggiunta di Forza Italia). Questo naturalmente non significa che la formula sia destinata al successo o che si riuscirà a condurla in porto, ma di certo tutti i tentativi fin qui messi in campo da Zingaretti per evitarla sono falliti. Il che la dice lunga sulla presa che ha sul partito e sui gruppi parlamentari. Uno iato, quello fra la linea del segretario e la stragrande maggioranza del suo stesso partito, che forse in un futuro nemmeno troppo lontano potrebbe produrre lacerazioni clamorose. Quanto infatti potrà resistere Zingaretti alla guida di un esercito che non lo segue sulla scelta più importante, ovvero quella di dar vita a un governo?
Infine, la terza “verità” che la crisi ha portato a galla: Salvini non solo non è invincibile, ma sembra anche aver perso il tocco magico. Se ne stanno accorgendo gli stessi leghisti, i quali ammettono a taccuini chiusi che il Capitano è in confusione e procede a tentoni. Nel saggio “Populism” (Oxford University Press, 2017) Cas Mudde e Cristòbal Rovira Kaltwasser dimostrano che i leader populisti hanno alcune caratteristiche comuni, al di là delle tante differenze. Si devono presentare come leader forti, liberi da qualunque restrizione, devono essere percepiti come uomini d’azione e non di chiacchiere, devono dimostrare di essere virili e carismatici. E soprattutto devono difendere la loro immagine di “salvatori”, capaci di portare il popolo fuori dalla crisi. Tutte caratteristiche negate dal Salvini di questi giorni, quello che si piega a Conte sui migranti, che provoca una crisi al buio, che ci ripensa e chiede scusa, che la mattina dice una cosa e la sera il suo opposto. Nel Salvini che tiene il suo “telefono sempre acceso”, c’è tutto tranne che il carisma di un vero capo populista.