Robinson, 18 agosto 2019
Intervista a Sir David Attenborough
Attesa, fuori dalla sua villetta, nel bucolico quartiere di Richmond. Che dimora avrà il più grande naturalista e divulgatore scientifico del mondo? Dove vive il Noè dei nostri tempi, dopo aver girato e raccontato in tv per oltre mezzo secolo la Terra, ora minacciata dal cambiamento climatico, al timone della sua “arca” di innumerevoli e bizzarri esseri viventi? Come sarà il suo microcosmo londinese? Il mistero lo svela la figlia Susan, che apre la porta chiara e cura da anni” l’azienda di famiglia”. «Mi raccomando con foto e video», si assicura, «non si deve far capire dove viviamo». «Hellooo!». Da un angolo, all’improvviso, spunta Sir David Attenborough, per una volta a casa nel corso del suo inarrestabile nomadismo: camicia azzurra, occhi smeraldo, capelli lisci e candidi, fisico e sorriso di un vispo settantenne, nonostante la classe 1926, come la Regina Elisabetta nata due settimane prima di lui.
Sir David ci accompagna nel suo smisurato, lucente soggiorno cubitale a due piani. I libri sono ovunque, di qualsiasi genere, su entrambi i livelli. Sculture tribali, africane e oceaniche, lunghe e secche come esotici Giacometti. E poi un pianoforte nero, con sopra le sonate di Bach: «Mi piace suonarlo quando torno a casa». Sir Attenborough, 93 anni splendenti, è rimasto a vivere qui dopo la morte 22 anni fa dell’amata moglie Jane, seguita da quelle dei suoi due fratelli: John, dirigente Alfa Romeo, nel 2012 e Richard, attore premio Oscar, scomparso nel 2014.
È molto raro che il leggendario studioso britannico conceda interviste nel suo “habitat” londinese, ma fa un’eccezione per Repubblica. Sir Attenborough, scuole a Leicester (dove il padre Frederick era rettore), laurea in scienze naturali a Cambridge, poi Londra e una fervente vita alla Bbc dove ha raccontato, protetto e “adottato” ogni piccola vita sulla Terra nei suoi straordinari documentari (dalla serie Life all’ultimo Our Planet su Netflix), è appena tornato da Glastonbury. Dove, come una rockstar, è salito sul palco del più grande festival musicale d’Europa lodando il pubblico per aver rinunciato alle bottigliette di plastica. «Ma che strane creature…».
Chi, Sir David?
«I 140mila spettatori. Le folle non mi piacciono, non sai mai come reagiscono, a differenza degli animali».
Però ha tenuto loro un discorso molto importante, sulla piaga ambientale della plastica.
«È un tema per me cruciale e quando ho visto tutte queste persone rinunciare a un milione di bottigliette mi sono sentito di dire… grazie! È la risposta a quelli che dicono che non possiamo fare nulla. Possiamo, invece. La plastica ha cambiato il mondo negli ultimi 40-50 anni, in peggio. Io ne parlavo, inascoltato, già circa due decenni fa nella serie Blue Planet. Ora si sono svegliati tutti».
La plastica è il suo spauracchio quando è in giro per il mondo?
«Sì. È mostruoso trovarne in ogni oceano, anche nell’isola più remota e immacolata, come nella Georgia del Sud, poco a nord dell’Antartide. Ma purtroppo il consumo e il turismo di massa hanno queste gravi conseguenze: ricordo quando nel 1956 andai in Indonesia a filmare l’enorme lucertola “Drago di Komodo”, sull’omonima isola. Ci vollero settimane per sbarcare e io e l’operatore sparimmo nella foresta per la preoccupazione di tutti. Oggi invece è presa d’assalto dai turisti».
È la plastica la più grande minaccia al genere umano?
«A lungo termine direi il sovrappopolamento del mondo, cui bisogna porre subito rimedio controllando le nascite, soprattutto in Africa e Asia, altrimenti la natura si ribellerà con carestie e reazioni distruttive.
Ma la minaccia più urgente è la crescita della temperatura terrestre. L’aumento di due gradi non sarebbe così grave se ciò avvenisse in 150, 200 anni: ci adatteremmo. Ma in venti, trent’anni le conseguenze saranno gravissime, dalla barriera corallina ai giganteschi flussi migratori di persone in fuga dalle aree colpite. Mentre gli oceani cresceranno e gran parte delle grandi città si troverà al livello del mare».
E noi cosa possiamo fare per rallentare tali fenomeni climatici?
«Se la natura subirà cambiamenti così radicali, a pagarne le conseguenze saranno i nostri valori e una buona parte del mondo civilizzato. Che cosa succederà se cinque milioni di disperati africani in fuga arriveranno nel sud Europa, vedi in Italia? Come si fa ad accoglierli tutti? Ognuno di noi dovrà fare il massimo per scongiurare questo scenario, e inquinare il meno possibile. Per fortuna, negli ultimi anni l’opinione pubblica è cambiata, in meglio. Ora abbiamo il peso specifico per mitigare questi drastici fenomeni, prima che diventino catastrofici».Come giudica l’insorgere di movimenti ambientalisti radicali, vedi Extinction Rebellion, o la giovane attivista svedese Greta Thunberg?«Vanno bene, bisogna far capire che siamo tutti dalla stessa parte. Il problema è come».Ecco, al di là degli sforzi personali, come possiamo convincere i leader del mondo ad agire?«L’accordo di Parigi Cop 21 nel dicembre 2015 è stato eccezionale. Ma poi Trump e gli Stati Uniti si sono ritirati. Eppure una presa di coscienza globale così potente era occorsa solo due volte in passato: contro il buco dell’ozono e sulla caccia alle balene. Non tutto è però perduto: la pressione pubblica avrà il suo impatto sui leader, ne sono certo».Obama l’aveva invitata alla Casa Bianca, potrebbe riaccadere con Trump?«Trump non ascolta i suoi, figuriamoci uno straniero fanatico come me. Non mi pare possibile dialogare con lui in maniera razionale. Perché non mi sembra razionale».Ma lei è ottimista o pessimista sul futuro del mondo?«Non mi pongo il problema perché tra poco non ci sarò più. Ma quando capisco che potrebbe presto capitarci qualcosa di brutto, sento l’obbligo morale di renderlo pubblico e di avanzare soluzioni. Tuttavia non mi va di essere considerato un profeta o un moralista. Magari potessi non parlarne e mettermi con un binocolo ad osservare gli Uccelli del paradiso».In tutta la sua straordinaria carriera itinerante, qual è la principale lezione che ha imparato?«Che le nostre azioni, anche le più piccole, hanno conseguenze imprevedibili in natura, cui non pensiamo al riparo nelle nostre “piccole riserve”. In k Raccontare la vita sulla Terra A partire dal 1979, con Life on Earth, Sir David Attenborough ha girato il mondo come presentatore di pluripremiati documentari naturalistici della BBC. È anche voce narrante della serie Il pianeta blu, dedicata alla fauna marina, e su Netflix degli otto episodi de Il nostro pianeta Jordi ChiasSudamerica o in Africa l’ambiente viene devastato, anche dai poveri lasciati a se stessi, mentre noi litighiamo sulla Brexit».A proposito, che cosa ne pensa?«Ci sono colpe su entrambi i fronti. Ma l’interferenza dell’Ue nella vita delle persone, spesso su futili aspetti, qui ha irritato molte persone, che ora non capiscono più vantaggi e svantaggi dell’Unione Europea».Ma lei è brexiter o pro Ue?«Credo che in qualche modo servisse cambiare. Detto questo, sono vecchio abbastanza per ricordare la Seconda guerra mondiale, quando noi in famiglia accogliemmo in casa due bambine ebree scappate da Hitler. Oggi percepisco una certa furia nelle folle, una rabbia irragionevole e spero che la gente non abbia dimenticato la pazzia che s’impadronì dell’Europa ottant’anni fa. Purtroppo gli attuali sistemi politici si sono ficcati in questo caos. Sono molto preoccupato per il futuro del mio Paese e del mondo».Nel corso della sua lunga vita, qual è l’animale o la specie che l’ha stupita di più? E quali porterebbe con sé nella sua “arca”?«Non saprei. La cosa che mi ha più meravigliato è stato scoprire come il nostro mondo sia incredibilmente complesso: un piccolo cambiamento ha un’eco imprevedibile per un intero ecosistema. Numerosi scienziati, invece, sono convinti che spostare un animale in un altro habitat possa bastare. Non è così».Ma come è iniziata la sua incredibile carriera?«Raccogliendo fossili: quella fu subito un’enorme passione. I bambini amano collezionare, classificare, e come vede non ho mai smesso. Pure Darwin andava pazzo per i coleotteri da ragazzino. Alla mia epoca c’era chi collezionava biglietti del bus. Ma la natura ha molti più segreti».Di recente una troupe di un suo documentario Bbc è stata criticata per aver salvato in Antartide dei cuccioli di pinguino intrappolati in una gola. C’è chi ha parlato di intrusione nella vita naturale.«Hanno fatto benissimo invece. Perché non avrebbero dovuto? Non hanno interferito affatto con la natura o con altre specie. Ma soprattutto, se salvi vite in questo modo, ti senti meglio, molto meglio.Perché noi umani ci siamo evoluti sviluppando empatia verso la vita e le sue forme più indifese. E questo è bellissimo».A 93 anni, cosa la spinge a guidare ancora la sua “arca di Noè” nel mondo? La curiosità di quando era bambino?«Forse. Citavo prima l’obbligo morale, e potrei ribadirlo. Ma direi perché altrimenti mi annoierei.Nelle ultime cinque settimane sono stato in Islanda, Costa Rica, Danzica, Svezia. Cammino ancora nonostante due protesi alle ginocchia. Ho vissuto una vita meravigliosa, sono orgoglioso della mia divulgazione scientifica in tv e non ho alcun rimpianto: cosa potrei chiedere di più? Dico solo a chi verrà dopo di me: rispettate la natura, perché ne dipendiamo incredibilmente. Per il resto, fin quando potrò, io non mi fermo. Mi ci vede qui seduto ad aspettare il becchino?».