Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  agosto 18 Domenica calendario

Berthe Weill, la prima donna gallerista di arte moderna al mondo

Se esistesse l’oroscopo anche per le strade delle città, un cielo astrale di vie lattee e costellazioni riflesso sull’asfalto, allora rue Victor Massé, vanterebbe un destino unico in tutta Parigi. Al 21 abitava Théodore Géricault, al 37 aveva casa e studio Edgar Degas, al 29 prendeva dimora Maurice Ravel, e qualche tempo dopo al 9 avrebbe aperto la Sezione Francese dell’Internazionale Operaia. Quando nel 1897 B. Weill cerca un posto per la sua galleria non ha dubbi e sceglie un locale minuscolo al numero 25 di rue Victor Massé, a Montmartre. Forse B. non sapeva che qualche anno prima, al piano di sopra dello stesso palazzo, aveva soggiornato Vincent Van Gogh. Quel che B. sapeva, invece, era che a trentasei anni stava prendendo una decisione epocale e insieme al suo destino avrebbe cambiato la storia dell’arte del Novecento. Bisognava solo essere ancora un po’ cauti e firmarsi B. Weill, Galerie B. Weill come indicava l’insegna, perché neppure il nuovo secolo alle porte era pronto a una novità così estrema, al fatto che il punto davanti all’iniziale nascondesse il nome di Berthe, una donna, la prima donna gallerista di arte moderna al mondo. La prima, senza femminile né maschile, a esporre Pablo Picasso, la prima a presentare Henri Matisse, Jean e Raoul Dufy, e Georges Rouault, la prima ancora in assoluto a proporre le opere delle artiste, da Suzanne Valadon a Marie Laurencin, insieme a quelle dei colleghi uomini. E ancora la prima, proprio perché donna, a finire dimenticata. Fino a quando Marianne Le Morvan, giovane storica dell’arte e ricercatrice combattente, ne ha ricostruito la storia e le ha reso giustizia. Anzitutto pubblicando un libro accuratissimo, Berthe Weill. 1865-1951. La petite galeriste des grands artistes, (L’Ecarlate), quindi ritrovando i documenti di quarant’anni di vita nell’arte e mettendo on line ogni materiale; e ancora, cronaca di poche settimane fa, promuovendo un referendum che ha permesso di dedicare a Berthe Weill il giardino adiacente al Museo Picasso, a Parigi. E infine organizzando un convegno sulle donne mercanti d’arte e galleriste al Museé des Arts Décoratifs di Parigi, dal 13 al 15 novembre prossimo, e una retrospettiva su BW per la Grey Art Gallery di New York. Oggi, giustamente, sul biglietto da visita di Marianne Le Morvan si legge Fondatrice et directrice des Archives Berthe Weill.
La scintilla scoppia all’università leggendo la biografia di Picasso, «e lì ho scoperto che la sua prima gallerista aveva uno spazio minuscolo a Montmartre e doveva appendere le opere su un filo da bucato, steso tra le pareti. Poche righe, poi di Berthe Weill più nulla – ricorda Marianne – Così ho deciso di dedicarle la tesi di dottorato e persino in sede di esame il presidente di commissione ha esordito dicendo: ah, quella losca brocanteuse!. Se poi si aggiunge un secondo commento, signorina la sua è una tesi comunitaria, perché Berthe Weill era ebrea e per interessarmene dovevo esserlo anch’io, anche se non lo sono, allora tutto è più chiaro. Due pregiudizi s’intrecciano, ieri come oggi: l’antifemminismo e l’antisemitismo».
Berthe Weill nasce il 20 novembre 1861 a Parigi. Suo padre Salomon vende tessuti, sua madre, Jenny Lévy, è sarta, ma trascorre l’intera giornata alla Comédie-Française, dimenticando i sette figli, di cui Berthe è la quinta. Non a caso Berthe comprenderà velocemente che il matrimonio nella Francia di fine Ottocento è una prigione per le donne e rifiuterà di sposarsi. E non a caso sua madre, invidiandola, le sarà sempre ostile e ci vorrà la mediazione di un’amica perché Jenny si convinca a cedere alla figlia il denaro che aveva conservato per il suo corredo. Con quella somma, dopo un apprendistato durato quasi dieci anni presso un antiquario di rue Lafitte, specializzato in stampe del XVIII secolo, Berthe passa in proprio e nel 1897 apre il suo negozio in rue Victor Massé. Ancora libri antichi, ma poi arriva l’Expo del 1900, Parigi è il futuro e a questo nuovo mondo Berthe offre ogni energia. Lei, alta un metro e cinquanta, miope, si sarebbe occupata solamente dei Jeunes, con la maiuscola, i futuri giganti, e il primo giovane che conosce è Picasso, diciannovenne. Glielo presenta Isidre Nonell e con buona pace della famiglia, anche dei curatori più sulla difensiva, sarà Berthe a presentare a Max Jacob, suo cugino, e non viceversa, il futuro autore di Guernica. La Petite Mère Weill, come la battezzerà un giorno Raoul Dufy, acquista tre pastelli di Picasso e riesce a venderne uno ad Adolphe Brisson, giornalista.
Il 1° dicembre 1901 Berthe sgombera la boutique di ogni anticaglia e inaugura la sua galleria. Un anno dopo presenta a pochi mesi uno dall’altro Henri Matisse e Pablo Picasso, che verrà esposto ad aprile, giugno, ottobre e novembre dello stesso anno. Nel 1903 è la volta di Raoul Dufy e Frank Kupka, nel 1904 tocca a Francis Picabia, nel 1905 ad André Derain, nel 1906 a Georges Rouault e nel 1909 a Georges Braque. L’attività espositiva è frenetica, l’agenda degli invitati prestigiosa e tra i visitatori assidui Berthe vanta anche Gertrude Stein, a cui consiglia caldamente di comprare Matisse, cosa che la scrittrice farà solo più tardi e altrove. Nota dolente, appunto, il denaro. «Sicuramente Berthe Weill conosceva le regole del gioco, a quanto comprare e a quanto vendere per il proprio guadagno e quello dei suoi artisti. Ma il denaro le è estraneo, le quotazioni gonfiate le fanno orrore, anche se si tratta di talenti geniali. Questa donna era pura, l’arte per l’arte, niente di più», riprende Marianne Le Morvan. I pittori la pensano diversamente e dopo essere stati sostenuti con generosità passando ad altri, molti ad Ambroise Vollard. «Vollard è considerato il padre dell’arte moderna, ma basta leggere i programmi di sala, fare due conti e viene fuori che nello stesso periodo i Jeunes presentati da lui non superano l’8% degli artisti, mentre sono il 100% per la Weill», spiega la studiosa. Nel 1917 ai “puledri”, come li chiama Berthe, si aggiunge Amedeo Modigliani e sarà lei a dedicare la prima e unica mostra a Modì vivente. I nudi in vetrina, «con i peli!» tuona il commissario di polizia, fanno scandalo e di nuovo non si vende nulla. Tanto per dire, nel 2010 uno dei quadri esposti allora, La belle romaine, è stato battuto da Sotheby’s a quasi 70 milioni di dollari.
Le defezioni degli artisti, non più jeunes, obbligano Berthe a cercare nuovi talenti e a chiedere ai senior di aiutarla. Nel 1939, la Weill scrive a Picasso: «Come mi avete detto non molto tempo fa, “non c’è oggi un imbecille come voi che si occupi dei giovani”. Eh, bene, sono sempre quell’imbecille e ho ripreso contatto con i nuovi giovani». Vorrebbe essere così gentile Picasso, ormai celebre, di presentare alcune sue tele insieme a quelle degli emergenti?, chiede la vecchia amica. Picasso tace e Berthe, anche a causa delle leggi razziali, è costretta a chiudere e a nascondersi. Restano nell’ombra anche le sue memorie, raccolte nel volume autobiografico Pan!...dans l’oeil!.
Picasso risponderà invece all’appello di Chagall, Derain, Dufy, Giacometti, Pascin, Picabia, Severini, Villon, che il 12 dicembre 1946 organizzeranno una mostra e offriranno il ricavato delle vendita alla loro prima gallerista. Berthe muore cinque anni dopo, cieca, e rinasce nel 2011 quando Marianne Le Morvan convince le autorità a mettere una targa sulla facciata del 25 di rue Victor Massé, a centodieci anni dall’inaugurazione della galleria. Qualcuno si potrebbe chiedere che cosa ne è oggi di quello storico indirizzo. Dagli anni ’20, da quando Berthe Weill lo ha lasciato per aprire un’altra galleria in rue Taitbout, è diventato il famoso «Cotton Club», frequentato anche da Edith Piaf e Simone de Beauvoir. Un periodo di silenzio, qualche spogliarello, un po’ di malavita, e nel 2015 il ritorno in auge grazie a Lynda Mohabeddine, unica donna a gestire un night a Pigalle, unica a difendere la storicità del suo locale, quando a pochi passi tutto sta scomparendo. Marianne Le Morvan ha festeggiato qui il suo ultimo compleanno. Luogo propizio a diventare grandi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA