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 2019  agosto 18 Domenica calendario

Grillo spinge verso il Pd

Luigi Di Maio non vuole ancora pronunciare la frase definitiva, perché il punto di non ritorno con Salvini non è stato raggiunto. E non è detto che non ci siano nuovi colpi di scena. Ma molto sembra spingere nella direzione di un cambio di rotta repentino. Tra i 5 Stelle i toni contro la Lega sono altissimi. E le aperture al Pd inaspettatamente ampie. Bisogna però capire, e questo è il vero nodo che si dovrà sciogliere a breve, se non si tratti semplicemente di tattica, di un modo per costringere Matteo Salvini a camminare sui ceci e a tornare a condizioni punitive al governo.
Il primo segnale anti Lega lo dà Grillo, che nelle ultime 48 ore si è sentito più volte con Luigi Di Maio, e che si è espresso con chiarezza, in scia con il post di qualche giorno fa: «Non dobbiamo cadere nella trappola di Salvini». Come è noto, la linea politica al momento la decide Di Maio. E il fondatore si è tenuto a lungo in disparte dai giochi politici, quindi bisogna capire se e quanto sarà tenuta in considerazione la sua opinione. Ma a rafforzare questa tesi c’è la posizione dei gruppi parlamentari, che a maggioranza schiacciante sono per la prosecuzione della legislatura, ma non del governo. In sostanza, sono per sopravvivere e per l’interlocuzione con il Pd. La stessa tesi di Grillo, che avrebbe sostenuto con i vertici la necessità di dialogare con il nemico di sempre.
Le difficoltà
L’imbarazzo del leader: il Pd resta il nemico numero 1, come faccio a parlare con loro?
E Di Maio? La sua è la posizione più difficile. Il leader politico sente il fiato sul collo di Roberto Fico e sa che il Pd potrebbe decidere di mettere il veto sulla sua persona, chiedendo come condizione preliminare alla trattativa un ricambio della classe dirigente. Il leader politico (che tale rimarrà, visto che il mandato proseguirà) è combattuto. Con i suoi si è sfogato: «Il Pd resta il nostro nemico numero 1, come faccio ora a parlare con loro?». Di Maio è politicamente più vicino alla Lega e probabilmente preferirebbe andare avanti, evitando scossoni. Eppure, con un realismo politico che solo i militanti più ingenui credono che non alberghi anche nel Movimento, è pronto a cambiare bandiera. Nel suo entourage si spiega che «Luigi, dopo i casini fatti da Salvini, è pienamente legittimato a fare un percorso con il Pd».
Il problema sarà anche farlo digerire alla base. Se Di Maio decidesse di turarsi il naso e stare con «il partito di Bibbiano», sfoderando il suo sorriso migliore a Nicola Zingaretti, non si potrebbe far passare un ribaltone di questa portata come se niente fosse. Per questo ai piani alti si sta pensando seriamente di mettere ai voti su Rousseau la permanenza al governo e l’eventuale cambio di maggioranza. Anche se, si ragiona in queste ore guardando anche i social, i militanti sono molto ostili al Pd. Tutto si deciderà martedì, giorno dello show down al Senato. Il premier Conte farà le sue dichiarazioni. A quel punto ci sono diversi scenari. Potrebbe dirigersi al Quirinale, per dimettersi. Oppure mettere ai voti le risoluzioni dei partiti. I 5 Stelle stanno valutando se presentarne una. Se la presentassero e Salvini dicesse sì, ripartirebbe il governo, su basi da ricontrattare. Ma alcuni pensano sia inopportuno: «Perché dovremmo presentare una risoluzione? Per dare una mano alla Lega? Se lo sbrighi da solo, il casino che ha fatto».