la Repubblica, 18 agosto 2019
I pontieri e il lessico politico che s’è fatto sempre più piccolo
Di tanto in tanto Sandro Viola, che conoscendo il mondo guardava alle beghe italiane con un’insofferenza che ancora oggi suona tanto crudele quanto più preziosa, afferrava per il collo il giornalismo politico e lo metteva alla berlina attribuendogli la responsabilità, anzi la colpa di contribuire non solo all’inconcludenza dei potenti, ma anche alla nausea e alla stanchezza di un’intera società. In una delle sue ultime e più riuscite rampogne, giusto nell’agosto del 2010, al culmine della “logorrea” e dell’"incontinenza verbale” segnalava con crescente fastidio l’effetto nefasto procurato al discorso pubblico da «un personaggio che nel gergo politico si chiama “pontiere": un benintenzionato che vorrebbe aprire un varco nel muro delle accuse, contraccuse, ingiurie, micidiali indiscrezioni, così da sfebbrare i rapporti tra Bianchi e Rossi e farli ripartire sui binari d’una accettabile intesa. Ma mal gliene incoglie, al “pontiere"», era la tesi, perché questo suo mettersi in mezzo alimentava vieppiù il caos.
Viola, che era un sublime snob, faceva finta di ignorare l’origine del termine, che risaliva alla storia minore delle correnti dc. Per cui “pontieri” furono detti nel 1967, i seguaci di Paolo Emilio Taviani che invano cercò di lanciare “un ponte” tra la maggioranza dei dorotei e la sinistra, specie Moro. Con gli occhi al presente, ci si sente a disagio nel ricordare che al gruppo, frutto di un ardito “assiemaggio”, aderivano Adolfo Sarti, che era spiritoso e si designava “Genio Pontieri”, poi il coriaceo Gaspari, il giovane Cossiga, il silenziosissimo Micheli, poi cassiere dc. Tra la sede della rivista Civitas e cene di corrente allietate da certi risotti alle erbette che Taviani, autopromossosi gran cuoco, infliggeva ai suoi, converrà forse sapere che fece pratica Massimiliano Cencelli, teorico della spartizione ponderale e autore dell’omonimo manuale.
Ma oggi? Beh oggi, in quella che nessun giornalista sa resistere a definire «la crisi più pazza del mondo», i pontieri operano in un tempo assai più degradato non solo della fine degli anni 60, ma anche dell’estate 2010 (tardo berlusconismo, lodo Alfano, scandali sessuali). Non occorre la feroce eleganza di Viola per riconoscere che i personaggi, i luoghi e le cose notevoli del presente rispecchiano una specie di catastrofe entro cui la fine del contegno e il tracollo della parola politica hanno generato una scena oscena.
Così, alla rinfusa: il Papeete e l’entrata posteriore di Palazzo Chigi, “alzate il culo” e i nuovi Barbari, il bacio al rosario e il Tar del Lazio, la maggioranza Ursula, i pieni poteri e il telefono sempre acceso. Nel frattempo Renzi sottrae il marchio ad Ingroia, Salvini si commuove per i figli, Conte per le mamme lasciate all’ospizio, Briatore scende in campo, Santanché cambia acconciatura col risultato che, secondo Dagospia, assomiglia a Moira Orfei, e al Nazareno arrivata in busta dell’eroina. I pontieri sono al lavoro: “accrocchio”, “accordicchio” e “governicchio” sono i possibili esiti. Il lessico si adatta all’immiserimento miniaturizzato. Buona notte, molto scura.