La Stampa, 18 agosto 2019
L’aumento dell’Iva non è il male peggiore
Ha senso temere per l’economia, in questa crisi politica tanto incerta nei suoi esiti. Ma i rischi che i politici evocano sono distanti dalla realtà. Si dipinge come una catastrofe l’aumento dell’Iva; appare apocalittico iniziare il 2020 con un periodo di esercizio provvisorio del bilancio dello Stato.
Oppure si invoca uno shock massiccio per far ripartire l’Italia, dopo che più volte simili promesse non hanno funzionato. O di tratta di parole d’ordine per aggregare maggioranze in Parlamento o di slogan per la prossima campagna elettorale. Ciò che davvero muta nella economia mondiale compare poco.
Il livello eccezionalmente basso a cui sono scesi i tassi di interesse aiuta il nostro Paese. Dà un po’ di respiro, rendendo meno oppressivo il peso del debito accumulato. È davvero strano che gli investitori del mondo per mettere il denaro al sicuro accettino addirittura di pagare qualcosa (il 40% dei bond ha rendimenti negativi o inferiori all’1%).
Strano, anzi inquietante. Ci si interroga su che cosa annunci, se una recessione o piuttosto un prolungato ristagno. Eppure il fatto che i mercati siano già tanto presi dall’ansia mostra quanto instabile sia la finanza globale, nutrita da un eccesso di risparmio (dovuto a vari motivi, tra cui la squilibrata distribuzione dei redditi).
La certezza è che il commercio internazionale rallenta, a causa della guerra tariffaria dichiarata da Donald Trump. Il presidente Usa si illudeva di vincere in pochi mesi. Non è così. Mentre la Cina resiste al colpo, i danni si diffondono nel mondo, in parte negli Usa stessi, molto nei Paesi esportatori d’Europa, a cominciare dalla Germania.
Le nuove misure espansive che la Bce deciderà in settembre saranno probabilmente meno efficaci che in passato. Toccherebbe ai governi aggiungersi. Ma la Germania, dogmaticamente parsimoniosa, non è ancora pronta a impiegare le risorse che ha; mentre l’Italia si è screditata da sola, illudendosi che spendere di più fosse un toccasana già prima che il pericolo crisi apparisse.
La sfiducia reciproca impedisce di accordarsi su azioni comuni. Servirebbe, ovunque in Europa, ravvivare gli investimenti pubblici e privati. Da noi già nell’ultimo anno le imprese hanno investito poco, sia per l’incertezza politica generale sia per i pasticci sulle agevolazioni fiscali; mentre la maggior spesa pubblica è stata usata per tutto tranne che per investimenti.
Il rialzo dell’Iva scritto nelle leggi con decorrenza 2020 serve a pagare le misure-bandiera del governo M5s-Lega, quota 100 e reddito di cittadinanza. Se occorrono entrate fiscali per far tornare i conti, non è il peggior modo per ottenerle, poiché la situazione non è propizia a generalizzati aumenti dei prezzi. Altre imposte avrebbero un effetto recessivo maggiore.
Il basso livello dei tassi incita la Lega, e altri per non sfigurare, a sostenere che le nuove entrate non servono, basta fare debiti. Il guaio è che per l’Italia sola, a causa della sfiducia in chi la governa, il costo del nuovo debito resta proibitivo. Due volte già, nell’autunno e in giugno, il governo attuale aveva annunciato la sfida, e poi visti i pericoli ha battuto in ritirata.
Non si capisce perché riprovare ancora; con mercati finanziari più incerti, il rischio sale. E più l’Italia resta inaffidabile, meno c’è speranza che la Germania smetta di bloccare l’Europa con il suo rigorismo conservatore.