Corriere della Sera, 17 agosto 2019
Intervista ad Alan Dershowitz, l’avvocato che difese Epstein (accusato di essere suo complice)
MARTHA’S VINEYARD La prima volta che Alan Dershowitz venne su quest’isola, al largo del Massachusetts, fu cinquant’anni fa, nel team che difese Ted Kennedy. Da allora l’ottantenne professore emerito di Harvard ha avuto molti clienti controversi, da Claus von Bülow a O.J. Simpson, ma si dice pentito di averne rappresentato solo uno: Jeffrey Epstein, il finanziere che il 10 agosto, lo dimostrano ora ufficialmente i risultati dell’autopsia, si è suicidato in cella.
Nel 2005, in Florida, Epstein scontò 13 mesi per induzione di minori alla prostituzione, evitando pene federali. Dershowitz e sua moglie lo conoscevano dal 1996, «ignari della sua doppia vita», dicono ora, seduti fianco a fianco nella loro villa a Martha’s Vineyard. Virginia Giuffre lo accusa di essere tra gli amici di Epstein con cui è stata costretta ad avere rapporti sessuali. Dershowitz non si è limitato – come hanno fatto Bill Clinton o il principe Andrea – a pubblicare una smentita: ha accusato Giuffre d’essere una bugiarda; denunciato per diffamazione, spera di finire in tribunale. «Dimostrerò la mia innocenza. Non ho mai incontrato Giuffre. Da quando ho conosciuto Epstein ho fatto sesso con una sola donna, mia moglie». La consorte, la neuropsicologa Carolyn Cohen, lo ha aiutato a documentare ogni giorno di questi anni (viaggi, lezioni, spese): il suo alibi. E la strategia punta su un’autobiografia di Giuffre che non menziona rapporti sessuali con lui, e su un’email di una giornalista del Daily Mail che le consiglia di «non dimenticare Dershowitz…».
Giuffre dice che avete fatto sesso sette volte.
«È certamente possibile che sia stata vittima di abusi, ma ha iniziato a mentire quando i suoi avvocati le hanno detto che poteva fare soldi: ha ricevuto più di un milione da Ghislaine Maxwell nel patteggiamento, 160mila dal Daily Mail per le bugie su Bill Clinton. Ha cominciato a esagerare. Ma è interessante la storia su Leslie Wexner (il proprietario di Victoria’s Secret, ndr): Giuffre disse di aver fatto sesso anche con lui sette volte. Eppure David Boies, l’avvocato di Giuffre, dopo aver incontrato Wexner, non lo ha mai perseguito. O ha concluso che la sua cliente mentiva, e dunque mentiva anche su di me; oppure che diceva la verità e allora: hanno preso soldi per tacere?».
Lei rimpiange di aver rappresentato Epstein?
«Rimpiango anche di averlo incontrato. Una donna importante che vive su quest’isola, Lady Lynn Rothschild, mi pregò di vederlo: “Un uomo meraviglioso, una grande mente…”. Non l’avesse mai fatto. Ha persuaso anche Bill Clinton a incontrarlo. Era una specie di intellectual pimp, una procacciatrice intellettuale per Epstein. Lui venne a casa mia nell’agosto 1996, con una bottiglia di champagne e una fidanzata ventenne. Parlò con me, mia moglie e i miei figli di biologia evoluzionista e degli studi che voleva finanziare a Harvard. Qualche anno dopo mi invitò in aereo, quello piccolo, non il Lolita Express, al compleanno di Wexner, con John Glenn, astronauta e senatore. Una cena per pochi: Peres e Taubman, il capo di Sotheby’s…Tutti uomini: la stessa moglie di Wexner non era invitata, dissi che non mi piaceva. Epstein rispose: “A Leslie piace così, e anche a me”».
Lei è stato più volte nella casa in Florida.
«Mai stato a casa o sull’aereo di Epstein durante gli anni in cui conobbe Giuffre, dall’estate 2000 al settembre 2002. Ci sono stato dopo, da avvocato, e prima, anche con mia figlia di 15 anni e i nipotini. Non vidi mai minorenni, foto inappropriate o vibratori. Non avevamo accesso all’ala privata. L’unica foto di donna nuda che ho visto a casa sua, a Manhattan, era di una modella di Rodin, accanto all’immagine di un’anziana. “Ecco perché non mi sposo”, diceva».
Era brillante?
«Molto da un punto di vista accademico. Frequentava gente come George Church, che ha decodificato il genoma, Steven J. Gould, il più grande paleontologo, Marvin Minsky, l’inventore dell’intelligenza artificiale. Nessuno immaginava che avesse questa vita parallela».
Lei quando l’ha scoperto?
«Quando è stato incriminato, vidi le prove: all’inizio sei donne. Non mi disse la verità: disse che erano quasi tutte diciottenni o con documenti falsi. In quella contea per reati simili – sale da massaggi con ragazze minorenni – nessuno era finito in carcere, così negoziai un accordo: lui ammetteva il reato, non andava in prigione, ma sarebbe stato registrato come criminale sessuale. Ma Epstein rifiutò, prese un altro legale che gli assicurò un accordo migliore; questo aprì un’indagine federale e allora mi chiamò per lavorare su quella. A quel punto emersero una trentina di donne, ma non c’erano prove di collegamenti interstatali, e dimostrai che il caso federale non sussisteva».
Lo affrontò a proposito delle sue bugie?
«Sì, ero furioso. Ma lui non pensava di aver fatto niente di male. Io invece pensavo che avesse sbagliato».
Lo avrebbe rappresentato se avesse saputo la verità?
«Fino a certo punto sì. Un mio cliente era accusato di aver dato fuoco a nove monache buddiste, e ho vinto. Avrei difeso Amanda Knox anche se avevo dubbi sulla sua innocenza. Ho due regole: non rappresento fuggitivi (ho rifiutato Karadzic), né mafiosi. Se vuoi che gli innocenti vengano difesi, devi difendere anche i colpevoli».
Lei dice che Giuffre mente. Crede che altre accusatrici dicano la verità?
«Sì».
Perché Epstein si è ucciso?
«Perché credeva che non avrebbe più avuto un giorno di libertà e non poteva tollerarlo».