la Repubblica, 17 agosto 2019
A settembre si riparte con il quantitative easing
Non ha usato la parola bazooka, ma è proprio quello che ha fatto intendere e che i mercati hanno subito compreso. Allo stesso modo, pur senza citare il “wathever it takes” reso celebre da Mario Draghi nell’estate in cui ha fermato la crisi dell’euro messo a dura prova dal possibile default della Grecia, ne ha di fatto evocato lo spirito.
La Bce ha affidato a uno dei membri del suo board, il governatore della banca centrale di Finlandia Olli Rehn, il compito di far sapere che l’Europa non assisterà senza prendere provvedimenti di fronte a una possibile recessione su scala globale. A fronte dell’inasprirsi di guerre commerciali che – a colpi di dazi – rischiano di “deglobalizzare” l’economia mondiale e con una Federal Reserve pronta a una nuova politica monetaria attiva, anche la Banca centrale europea intende muoversi. E lo farà a breve, già a settembre, come ha annunciato Rehn in un colloquio con il Wall Street Journal.
La ricetta era quella per cui facevano il tifo gli investitori internazionali: il ritorno del denaro facile, attraverso riduzione dei tassi di interesse e riacquisto di obbligazioni, sovrane e dei privati. In pratica, si tratterebbe di un Quantitave easing 2 (Qe2), dopo che Mario Draghi aveva archiviato il Qe1 soltanto nell’autunno scorso. Secondo Rehn, le prospettive sulla crescita economica in Europa si sono deteriorate negli ultimi due mesi e questo peggioramento «giustifica un’ulteriore azione di politica monetaria, e questo è quanto intendiamo fare a settembre».
Immediata la reazione dei mercati che già si erano girati nella seduta di Ferragosto (con la Borsa di Milano tradizionalmente chiusa). Sia le piazze europee che Wall Street sono rimbalzate, pur senza impedire la terza settimana consecutiva chiusa con un bilancio negativo. Milano è stata la migliore, con un rialzo del’1,51%, spinta dalle banche nonostante lo spread in risalita a 209 punti.
Ora che la Bce ha detto la sua, l’attenzione si sposta negli Usa. Anticipata dal pressing del presidente Donald Trump che ha chiesto a più riprese un taglio dei tassi, si attende la risposta che arriverà dalla Federal Reserve. In particolare, dopo il segnale di pericolo arrivato dall’inversione dei tassi di interesse dei titoli di stato Usa, con le scadenze a breve che ora pagano un tasso più alto rispetto a quelli con scadenza più lunga.
Un fenomeno che da 40 anni a questa parte ha sempre anticipato una recessione. Il momento è delicato: lo si capisce anche dal fatto che il governatore della Fed Jerome Powell ha imposto il silenzio ai membri del board: nessun convegno, intervista o dichiarazioni off the records.
Una decisione senza precedenti che inquadra bene il clima.