la Repubblica, 17 agosto 2019
Mattarella, le consultazioni e un possibile governo elettorale guidato da Alberti Casellati
I punti fermi di Mattarella nel buio della crisi più strampalata del mondo. Il presidente della Repubblica non tifa per il ribaltone. Al momento delle consultazioni, i partiti devono presentarsi al Colle con proposte di lunga durata prendendosi tutte le responsabilità di un eventuale nuovo governo. Come dire che al Quirinale vogliono alzare l’asticella dopo il pasticcio cui si è assistito finora. Significa no ad accordicchi ma anche no a patti più seri basati però sulla convenienza del momento e stretti da forze politiche divise al loro interno (con inevitabili ripercussioni sulla stabilità per di più durante l’esame della legge di bilancio). Secondo punto: se non ci sono accordi possibili Matteo Salvini non gestirà le elezioni anticipate dall’ufficio del Viminale (già frequentato raramente). Nascerà comunque un governo diverso da quello guidato da Giuseppe Conte, presieduto probabilmente dalla presidente del Senato Alberti Casellati con nuovi ministri. Prima di tutto un altro titolare dell’Interno. Questo esecutivo chiederà la fiducia, non l’avrà ma porterà lo stesso il Paese alle urne alla fine di ottobre.
Durante la breve vacanza di Mattarella alla Maddalena, è stato il segretario generale della presidenza Ugo Zampetti a gestire in via riservata il dossier della crisi. Ma ieri il presidente è rientrato a Roma, anticipando di tre giorni la fine della ferie. Il ritorno era previsto lunedì. In questa fase di stallo la soluzione del rebus sembra davvero affidata agli umori del momento. Il capo dello Stato ha scelto di mettersi al centro del sistema anche fisicamente.
Salvini, che ha innescato il caos, sembra davvero isolato. Nel momento della rottura aveva addirittura immaginato che non ci sarebbe stato bisogno delle consultazioni al Quirinale. Conte sfiduciato al Senato, posizioni delle forze politiche chiare e scioglimento delle Camere praticamente automatico: questo era il percorso sognato dal vicepremier. Adesso che è ripreso il dialogo tra Lega e 5 stelle, che si è aperto, per Di Maio, il forno del Partito democratico non andrà così liscia. Mattarella farà delle consultazioni vere. Non ci sono ormai le condizioni di una crisi lampo. Del resto il leader della Lega ha meno carte da giocare. Molte gliene ha tolte Silvio Berlusconi chiedendo l’alleanza di centrodestra e ponendo le condizioni del suo no a un governo istituzionale: presidenza del Senato, 4 ministeri e 50 collegi sicuri.
Sono difficoltà emerse in corso d’opera che spiegano alcune ultime mosse, a cominciare dall’offerta leghista a Di Maio: fai tu il premier. Mossa esplorativa, tentativo di ricucitura per riprendere il filo smarrito nell’isolamento in cui Salvini si è cacciato. Ma anche mossa tattica per disarticolare il Movimento 5 Stelle diviso in varie tribù. Se i partiti che dovrebbero dare vita al ribaltone sono spaccati è più facile che l’esperimento fallisca. Anche questo vuole capire il Colle con i colloqui riservati di questi giorni e poi, pubblicamente, con la sfilata dei leader nel palazzo presidenziale. Grillini e dem sono abbastanza uniti per gestire insieme un altro esecutivo? Per il momento non pare.
La proposta di Graziano Delrio di un contratto alla tedesca tra M5s e Pd, cioè di un’intesa chiara e alla luce del sole, assomiglia a quell’accordo “alto” preteso dal presidente della Repubblica come alternativa al governo Conte. Ma non è detto che le due forze politiche siano in grado di reggerlo. Basti pensare alla reazione di Nicola Zingaretti dopo l’idea lanciata dal suo capogruppo. «Non si è ancora aperta la crisi e noi ci avventuriamo in ipotesi futuribili. Così è inaccettabile». Oppure alle voci dissonanti di Alessandro Di Battista e Roberto Fico nel Movimento, che crescono, che agitano la base grillina e mettono in mora il capo politico Di Maio.
In questa crisi annunciata ma non dichiarata, in attesa del 20 agosto quando il premier Conte parlerà al Senato è bene che nei partiti i leader si chiariscano anche tra di loro.