il Fatto Quotidiano, 15 agosto 2019
La strana relazione fra Elsa Morante e Luchino Visconti
Cara Elsa, (…) vorrei veramente poterti dire qualche cosa che ti consolasse ma mi rendo conto che è impossibile, anche perché, al solito, le ragioni della tua infelicità sono oscure e oscuramente espresse. Ad ogni modo, se ho ben capito, il viaggio a Roma non ha fatto che aggravare la tua situazione. Quale sia poi il misterioso incidente che ha turbato i tuoi rapporti con L.V. non lo capisco ma immagino che, come sempre, non sia cosa irreparabile. Ahimé è difficile dire che non sembrino superficiali in questi casi, perciò ti basti sapere che ti voglio veramente tanto bene e che desidero che tu sia felice. (…) Arrivederci a presto ti abbraccio. Alberto.
È il 7 agosto 1950, un lento lunedì di fine estate sullo Stelvio. Lo scrittore Alberto Moravia si siede alla scrivania della sua stanza, afferra la carta intestata del Grand Hotel Solda (Bolzano) e prova a scardinare a parole l’infelicità cronica e tutta romana di Elsa Morante, inasprita – evidentemente – da “un incidente” con l’amato-amante, il regista Luchino Visconti.
Non di puro triangolo si tratta, per la verità. Quella dell’autrice dell’Isola di Arturo è piuttosto una malattia. “Vorrei poter lavorare davvero, o amare davvero, e sarei felice di dare a qualcuno o a qualche cosa tutto quello che posso, purché la mia vita fosse compiuta finalmente e trovassi il riposo del cuore”, confessa al marito. L’autore de La noia di certo non si tedia con sua moglie, la cui esistenza fu costellata da amori tormentati. “A difficili amori io nacqui”, recita l’autrice in Avventura. Ti prego di capire adesso che io qui non parlo davvero di amore. Prima di tutto, devo dirti con molta semplicità che, nemmeno quando ero più bella, io non sono stata mai amata da nessuno, e quindi non ho mai pensato seriamente che tu potessi amarmi, scrive Morante in una missiva indirizzata al regista che sta per portare sul grande schermo Bellissima. E “bellissimo” lo ritenevano entrambi i coniugi. Moravia lo conosce nel 1939 e lo descrive come “un personaggio della grande pittura del Rinascimento”. La “relazione” con Morante segue e al matrimonio con lo scrittore si intreccia dieci anni dopo, dal 1949 al 1952. Ma Luchino probabilmente nasce nella testa della scrittrice. Scrive Carlo Cecchi che nient’altro sarebbe che lo specchio di Menzogna e sortilegio. A influire fu, a detta dell’amico fiorentino,“il fatto che Elsa venisse da quella lunga e totalizzante esperienza (…) che fu la scrittura (del romanzo, ndr), dove molto importante è il complesso, e in gran parte unilaterale, amore di Anna per l’ambiguo Edoardo (…)”. Ma unilaterale quanto? Quanto Visconti amò Morante? In una lettera chiarificatrice datata 1953 – quando cioè la storia tra i due sarebbe già conclusa – lei prova a spiegarsi. È una passione folgorante ma astratta, un’ossessione. C’è stato un tempo in cui desideravo, se tu lo avessi voluto, essere la persona più vicina a te nella vita. Anche fuori della tua volontà, ci furono allora delle altre cause per cui io dovetti levarmi dalla mente certe speranze e pensieri. Da principio mi era difficile riuscirci, e forse, per questo, in quel periodo il mio carattere ti sarà sembrato anche peggiore del solito. (…) Se tu mi avessi frequentato di più, in questo periodo, avresti potuto capirlo. Io, a ogni modo, ho cercato di fartelo capire. E anzi, dopo averne sofferto, ero contenta che fra noi non ci fossero più motivi di confusione, e che tu non dovessi più sospettare di me come di una persona che desiderava di entrare nella tua vita e di limitare la tua libertà in nessun modo (…), scrive Morante. Dunque di “ricambiare” il regista del Gattopardo non pare dare grossi segni, o sì. Questo è il lato del triangolo che – a distanza di 67 anni – ancora manca. Qui ci si addentra nel romanzo, quello che narra di una passione travolgente, altroché se corrisposta: “Scendevo dal treno, alla stazione Termini, e lo incrocio nella hall, l’avevo certamente già visto con Alberto, due o tre volte, un saluto, niente di più, fatta eccezione per quella sua particolare maniera di ridere da gatto siamese che, quella sera, alla stazione di Roma, mi ha fatto sciogliere d’amore… È stato, in un fulmine, il mio idolo e lo desiderai con tutto il mio essere… Abitava in via Salaria, ha fatto una deviazione per il Pincio e, pur continuando a guidare la sua grossa auto, mi ha presa, senza una parola, per il collo e ha forzato la mia testa contro la sua patta… Questo fu il nostro primo incontro d’amore…”.
Così Elsa Morante raccontò il sortilegio dell’uomo che un giorno sbadatamente aveva definito “cattivo” e volgare”. Se però è menzogna non è dato saperlo. Il narratore dei fatti è Jean-Noël Schifano, anche lui scrittore, giovane e adoratore della fascinosa Elsa la quale gli avrebbe confidato quella passione mai spenta. A distanza di 30 anni, pare, Visconti continuava a chiamarla anche alle 3 di notte perché si masturbasse al telefono, mentre “Alberto dormiva o fingeva, non l’ho mai saputo”.
E quante altre volte ancora Moravia si finse addormentato. Finché nel 1967 la supplicò di non separarsi da lui; lei ancora in lutto per il suicidio del suo amante newyorkese Bill Morrow: Non ho che te, te e le scrittura e adesso entrambe mi lasciate. Ma non servirà. Da qualche tempo la mia vita ha perduto come si dice il baricentro e se ne va di qua e di là come una trottola impazzita. Spero solo di poter dire in un romanzo che genere di vita è, le scrive lui disperato. E forse quel romanzo non lo abbiamo mai letto.