il Fatto Quotidiano, 15 agosto 2019
Eredità Todini: la Corte dà ragione alla figlia
Denunciata per stalking dalla madre, Luisa Todini ha 20 milioni di buone ragioni per brindare alla vittoria. I legali della madre hanno perso la battaglia, ma l’anziana potrà consolarsi con mille euro al giorno per il resto della vita.
La saga Todini, raccontata dal Fatto tre mesi fa, è arrivata a un punto di svolta e potrebbe rivelare altre sorprese. La Corte d’Appello di Roma, ribaltando il giudizio di primo grado, il 12 agosto ha accolto il ricorso con cui l’imprenditrice umbra chiedeva a tutela della madre un amministratore di sostegno che gestisse, sotto la vigilanza di un giudice, l’ingente patrimonio ereditato da Franco Todini. Nel 2001, alla morte del costruttore, la parte della vedova Maria Rita Clementi era superiore a 65 milioni di euro: oggi ne resta un quarto circa tra immobili, fondi e partecipazioni. Un tesoro conteso a suon di avvocati, denunce e perizie in tribunale tra l’imprenditrice, la madre stessa, il fratello Stefano e i loro legali.
A gennaio il giudice tutelare aveva respinto la richiesta presentata nel 2017 ritenendo che in capo alla vedova, all’epoca 78 anni, non sussistesse uno stato di decadimento mentale tale da giustificare misure di protezione e che fosse dunque pienamente capace di amministrare il patrimonio. Nel reclamo depositato a febbraio dagli avvocati Federico Vecchio e Federico Lucarelli, la Todini ha chiesto di rivalutare le perizie medico legali, anche quelle disposte dal giudice penale, e ha puntato il dito contro i legali della madre – l’avvocato Alessandro Sammarco e il consulente Giuseppe Ciaccheri – perché mentre la sottraevano alle perizie disposte dal giudice, la portavano a costituire un trust nel quale indicava i due figli come beneficiari ma loro stessi come amministratori, con un compenso di 40 mila euro l’anno ciascuno per dieci anni. La signora Clementi si è costituita nuovamente, sostenendo che la figlia abbia intrapreso l’azione al solo scopo di disporre del patrimonio personalmente.
La sezione famiglia della Corte d’Appello di Roma ha messo ora una pietra tombale sulla parte civile della saga, stabilendo che la “valutazione espressa dal primo giudice non sia adeguata ai riscontri che gli atti processuali consentono in merito alla condizione di infermità di mente della Clementi, condizione ulteriormente confermata dalla consulenza tecnica svolta dal Pubblico Ministero in sede di indagini penali, depositata in questa fase dalla reclamante”. Il provvedimento stabilisce dei punti fermi. Il patrimonio resta in capo alla signora, che potrà spendere fino a 30mila euro al mese. La signora Clementi ha bisogno del sostegno e non da oggi, ma anche all’epoca della prima istanza della Todini, quando veniva condotta dai propri consulenti legali a costituire il trust (31 luglio 2018) in una condizione ormai certa di ridotte capacità. L’amministratore nominato, dice il decreto, non dovrà stabilire solo se il trust è valido e revocabile, ma anche verificare se gli amministratori hanno operato nell’interesse esclusivo della signora e senza arrecarle pregiudizio. Un punto delicatissimo.
Tali verifiche, infatti, potrebbero impattare sull’aspetto penale ancora aperto dalla denuncia per stalking della madre contro la figlia. La Procura di Roma ha avviato l’indagine a carico della Todini, ma proprio la pronuncia della Corte d’Appello sottrae fondatezza all’esposto, laddove indica con certezza l’incapacità dell’anziana e, neanche troppo velatamente, anticipa la necessità di chiarire come sia stato gestito il patrimonio. Al punto 9 dispone che il tutore segnali al giudice “eventuali situazioni di gestione patrimoniale pregressa e tuttora produttiva di effetti, con particolare riguardo all’atto di conferimento in Trust, ove pregiudizievole per la beneficiaria, con indicazione di eventuali azioni da intraprendere a tutela della medesima”. Adombrando il sospetto che l’anziana sia stata vittima di circonvenzione, come la Todini denuncia da tempo.