il Fatto Quotidiano, 15 agosto 2019
La Germania è in crisi. Conseguenze
Proprio mentre la notizia di uno slittamento dell’entrata in vigore dei nuovi dazi statunitensi sui prodotti cinesi sembrava aver ridato un poco di fiato al commercio mondiale, arriva una nuova doccia fredda sugli spaventati mercati finanziari. Le borse europee ieri hanno fatto un balzo indietro di sei mesi. La Borsa di Milano ha chiuso in forte calo (-2,53%) ma da inizio anno ha fatto meglio di quella di Francoforte, nonostante il salto del debito pubblico italiano al livello record di 2.386 miliardi di euro. Le curve di rendimento dei richiestissimi titoli di Stato dei Paesi core si sono capovolte in Usa e Regno Unito, segnale che solitamente anticipa una recessione. Anche gli interessi dei bund tedeschi sono precipitati a meno 0,65%. Di conseguenza fatica a restringersi lo spread con i Btp italiani a 10 anni, sceso a quota 218. Brutte notizie anche dall’economia reale. Il Pil della Germania è sceso tra aprile e giugno dello 0,1%. Un dato che se si replicasse nel trimestre in corso equivarrebbe a una recessione tecnica. Rallenta nel secondo trimestre anche la crescita dell’intera Ue con il Pil dell’area euro a +0,2% rispetto ai primi tre mesi dell’anno. Crolla la produzione industriale a giugno: nella zona euro, comunica Eurostat, è scesa dell’1,6% e nella Ue-28 di 1,5%. A maggio era aumentata di 0,8% e 0,9%. In Italia il calo è di appena 0,2%, in Germania dell’1,8%. I timori dei risparmiatori si sono tradotti in una richiesta di beni rifugio come l’oro, tornato ai massimi storici del 2013, ma anche di obbligazioni a scapito di quello azionario.
A incidere sulle difficoltà dell’economia tedesca è la flessione delle esportazioni, dovuta al rallentamento della domanda a causa della guerra tra Cina-Usa. E non è una buona notizia per l’Italia.
Il giro d’affari delle prime dieci aziende tedesche è di 800 miliardi di euro, la metà del Pil italiano. La loro capitalizzazione supera quella dell’intera Borsa milanese. Ogni anno 40 tonnellate di merci prendono la via del Brennero. Molte di più di quante ne transitino sui valichi svizzeri e francesi. La vecchia A22 boccheggia in attesa del futuro tunnel ferroviario, il grande gate del corridoio Scandinavia Mediterraneo che dovrà trasferire gran parte del traffico nord-sud sulle rotaie dal 2028. Si parla di 400 treni al giorno, più lunghi e veloci dei 240 attuali. E l’export italiano è in costante aumento. Lo scorso anno le esportazioni italiane destinate ai tedeschi hanno toccato i 58,1 miliardi di euro (+3,8% rispetto al 2017), soprattutto semilavorati e componentistica per il settore dell’auto. Mentre il valore delle importazioni si è attestato a 70,3 miliardi di euro (+6,8% rispetto al 2017). Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna si ritagliano da sole circa 90 miliardi dell’interscambio. I due sistemi sono molto integrati. Molti posti di lavoro in Italia dipendono dallo stato di salute delle imprese tedesche.