il Fatto Quotidiano, 15 agosto 2019
Anche Mattarella vuole revocare la concessione a Autostrade
Le commemorazioni per le 43 vittime del Ponte Morandi sono iniziate in edicola, per così dire. Su molti grandi giornali ieri c’era l’accorata lettera di Autostrade per l’Italia (Aspi), la concessionaria del ponte crollato di proprietà della holding dei Benetton, Atlantia. Su un solo giornale, invece, quello di Genova, Il Secolo XIX, c’era la lettera di Sergio Mattarella, un testo che, per una volta, nulla condivide con le celebrazioni retoriche cui siamo abituati in casi come questo. Al contrario, quella missiva è un atto d’accusa pesantissimo proprio ad Autostrade e alla sua catena di comando e proprietaria: “Nulla può estinguere il dolore di chi ha perso un familiare o un amico a causa dell’incuria, dell’omesso controllo, della consapevole (corsivo nostro, ndr) superficialità, della brama di profitto”.
Sui grandi media se n’è parlato poco, ma in questi dodici mesi sono saltate fuori prove documentali a iosa “dell’incuria”, “dell’omesso controllo” (anche del ministero, ovviamente), della “consapevole superficialità” e pure della conseguente “brama di profitto”. Pra persino il capo dello Stato ha deciso di rompere il silenzio a un anno dalla tragedia: “Il nuovo ponte – scrive Mattarella – sarà in grado di ricucire e rammendare la ferita inferta dal crollo”, ma “rammendare non significa cancellare : il nuovo ponte ricorderà per sempre quelle vittime innocenti, sepolte tra le macerie di una tragedia causata dall’uomo che si poteva e si doveva evitare”.
Un anno fa, di fronte alle accuse ad Autostrade di un pezzo del governo e di (una piccolissima) parte della stampa, si parlò di condanne sommarie, tribunali di piazza, persino di attentato al libero mercato con annesse richieste di verificare se, per caso, Atlantia non fosse stata penalizzata in Borsa: si vedrà domani se gli stessi rilievi saranno rivolti, da autorevoli commentatori e politici in pena per l’azionista, al presidente della Repubblica.
In realtà le parole dell’inquilino del Colle, così nette e definitive, riportano la discussione dove deve stare: è accettabile che Autostrade abbia ancora la concessione su 3mila chilometri di corsie? Giusto il 14 agosto di un anno fa, Giuseppe Conte scrisse su Facebook: “È chiaro che ci sono responsabilità e la giustizia dovrà fare il proprio corso per accertarle. Ma il nostro governo non può rimanere ad aspettare. Per questo abbiamo deciso di avviare le procedure di revoca della concessione alla società Autostrade”. Il 17 agosto seguì questo comunicato: Palazzo Chigi “ha formalmente inoltrato ad Autostrade per l’Italia la lettera di contestazione che avvia la procedura di caducazione della concessione”.
Da allora – chiacchiere a parte – poco o nulla: un parere giuridico di 62 pagine chiesto dal ministro Danilo Toninelli e consegnato quasi due mesi fa in sostanza consiglia al governo la revoca per “grave inadempimento” smontando la teoria secondo cui, se si procedesse, bisognerebbe pagare miliardi di penali ad Autostrade. Nel frattempo, però, il capo politico grillino Luigi Di Maio, nella veste di ministro dello Sviluppo, ha invitato la Atlantia dei Benetton a partecipare alla cordata per il salvataggio di Autostrade.
Ieri, a spiegare quale fosse il clima nel governo gialloverde, lo ha spiegato con sincerità Matteo Salvini: “È squallido che in una giornata come questa ci sia qualcuno che parla ancora di Autostrade, di Benetton. Chi sbaglia paga, ma non faccio né il giudice, né l’ingegnere, né l’avvocato, anche perché sono tutte partite gestite da ministri 5 Stelle”. Forse Salvini, già che era a Genova, avrebbe potuto spiegare quanto sono “squallidi” ai familiari delle vittime, che continuano a chiedere invano la revoca della concessione, e pure a Mattarella, che ci ricorda che “rammendare non significa cancellare” e senza aspettare il giudice.