Corriere della Sera, 15 agosto 2019
Così M4s e Pd si uniscono per fermare la Lega
«Verificare nelle consultazioni la possibilità di una maggioranza diversa ma solo alzando il livello del confronto e dei contenuti di programma». Le ventuno parole che passano per tutta la giornata di ieri di smartphone in smartphone, partite dal cuore della comunicazione del Nazareno, riassumono l’atto finale del prologo della trattativa che vede Pd e M5S impegnati nella ricerca di una nuova maggioranza. La «fase uno» della partita a scacchi più incredibile della storia parlamentare recente potrebbe appunto terminare il 21 agosto, quando quelle ventuno parole potrebbero passare dagli schermi dei telefonini all’ordine del giorno messo in votazione alla direzione del Pd. Scontando alcuni no già messi in preventivo (Carlo Calenda), qualche distinguo e alcuni mal di pancia – insomma – in quell’esatto momento del tempo (mercoledì) e dello spazio (il Nazareno), il Pd darebbe un mandato esplorativo al suo segretario per valutare la possibilità di dar vita insieme ai M5S a un nuovo governo di legislatura.
Ma perché tutto questo possa trasformarsi in realtà, senza intoppi di sorta, è necessario che alcuni passaggi preliminari vadano a buon fine. E che il canovaccio di martedì al Senato, il D-day delle comunicazioni di Giuseppe Conte e della mozione di sfiducia della Lega confermata ancora ieri mattina da Matteo Salvini, fili liscio come da copione.
Già, ma il copione? Nel Pd e nel M5S sono state individuate delle figure chiave che, a nome dei rispettivi fronti, muovono le pedine sullo scacchiere della crisi. Da una parte ci sono Dario Franceschini, Andrea Orlando e Graziano Delrio; dall’altra si muovono i capigruppo Francesco D’Uva (Camera) e Stefano Patuanelli (Senato), che già da giorni hanno ricevuto la benedizione di Davide Casaleggio, fatta filtrare sulle agenzie dalla Comunicazione del M5S (nessun veto, ricordando tra l’altro che Prodi era stato invitato a un evento di Rousseau). Ieri mattina, quando dopo la commemorazione del primo anniversario del ponte Morandi gli ambasciatori pd hanno fiutato l’ipotesi che Salvini potesse fare retromarcia sulla mozione di sfiducia, i due capigruppo del Cinque Stelle hanno rassicurato l’altro fronte. Della serie, «anche se lo facesse, per noi quell’alleanza è morta».
D’altronde non è un mistero per nessuno che la quasi totalità dei parlamentari del M5S è pronta a cambiare compagni di strada. Nella trattativa, tra l’altro, iniziano a farsi largo i termini programmatici di un eventuale nuovo accordo di governo. Scartati fantascientifici ripensamenti sulla Tav (l’opera si farà, col bollino del governo Conte) o questioni troppo spinose per essere servite come antipasto (la riforma della giustizia), si punta tutto sul lavoro, il fisco, l’ecologia. Con un’attenzione ai passaggi politici che il M5S dovrà percorrere per scavare un solco tra l’era Salvini e la nuova fase, a cominciare dall’accoglimento dei rilievi del Colle sul decreto Sicurezza bis.
«Non abbiamo paura del voto», ripete a ogni piè sospinto Nicola Zingaretti. Ma la trattativa è partita. Ed entrerà nelle sue fasi cruciali solo quando il D-day del Senato sarà archiviato. Come? Senza retromarce di Salvini, il Pd potrebbe votare la sfiducia al governo Conte, che quindi cadrebbe. Ma se nella Lega maturasse un colpo di scena, allora gli ambasciatori del Pd potrebbero chiedere agli sherpa del M5S di far annunciare a Conte le proprie dimissioni durante le comunicazioni al Senato. «Tanto – è l’analisi fatta da Di Maio ai suoi – tutta Italia già saprebbe che il governo l’ha fatto cadere Salvini». A quel punto, solo a quel punto, inizierebbe la fase due.