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 2019  agosto 14 Mercoledì calendario

A Firenze, la galleria degli autoritratti

La collezione di autoritratti più ricca e importante al mondo si nasconde dietro a un portone chiuso a chiave, per lo più ignorato dai visitatori che percorrono lo scalone Natalini per uscire, stremati, dagli Uffizi. Una sorta di “Binario 9 ¾”, di varco di ingresso a un universo parallelo: a un museo nel museo perfettamente climatizzato e videosorvegliato, allestito col rigore e l’attenzione di quello principale, nel quale sono ordinatamente disposti i quasi 1.800 fra dipinti (per la stragrande maggioranza dei casi) ma anche sculture e installazioni della straordinaria raccolta iniziata dal cardinale Leopoldo de’ Medici a metà Seicento, che continua tutt’oggi ad arricchirsi grazie a nuove acquisizioni e a donazioni di artisti contemporanei. Un’infilata di sale e corridoi da cui parte un viaggio impossibile a ritroso nel tempo: dalle opere di maestri del secondo Novecento – Rauschenberg, Koons, Pistoletto, Fabre – alla collezione di Raimondo Rezzonico acquisita dallo Stato nel 2005 (trecento pezzi fra i quali de Chirico, Rosai, Ligabue, Kokoschka, Léger, Vedova), fino all’Ottocento degli acerrimi rivali Ingres e Delacroix, ironia della sorte finiti a condividere, l’uno a fianco all’altro, la stessa parete. E poi Sargent, Pellizza Da Volpedo, i preraffaelliti Dante Gabriel Rossetti e William Hunt, fino al Seicento di Rembrandt, Rubens, van Dyck, Velázquez; il Cinquecento di Tintoretto e di sua figlia Marietta Robusti, e ancora Andrea del Sarto, Cigoli, Allori, lo scultore Baccio Bandinelli.
Volti, alcuni, ben noti ai fortunati che, fino al dicembre 2016, hanno potuto visitare il Corridoio Vasariano: qui, nel 1973, l’allora sovrintendente Luciano Berti aveva fatto spostare un terzo circa della collezione, trasformando il famoso camminamento sopraelevato che attraversa l’Arno, collegando Uffizi e Palazzo Pitti, in una galleria di autoritratti. Ma tre anni fa il Corridoio, accessibile solo su prenotazione e spesso con tariffe fatte lievitare dai tour operator privati, ha chiuso per lavori di adeguamento, e quando riaprirà al pubblico – si parla del 2021 – sarà senza i suoi quadri. I visitatori degli Uffizi – questa volta tutti, nessuno escluso – potranno però tornare presto ad ammirare queste meraviglie. Lo promette il direttore delle Gallerie, Eike Schmidt, spiegando che gli autoritratti andranno a occupare «una dozzina di sale al primo piano», e cioè le vecchie “sale rosse” affacciate lungo il piazzale, che conducono ai nuovi spazi dedicati al Cinquecento. L’idea è quella di consentire al pubblico degli Uffizi una scelta: un percorso più completo, comprendente anche la collezione Contini Bonacossi e, appunto, gli autoritratti, o uno più veloce e lineare, dai pittori del XVI secolo a quelli del XVIII, destinati questi ultimi a una serie di nuovi ambienti «che apriremo – annuncia Schmidt – fra due anni». Quanto agli autoritratti, il numero in esposizione sarà più o meno equivalente a quello del Vasariano, ma amplificato da una rotazione che, nel Corridoio, non era possibile. Un meccanismo necessario, spiega ancora il direttore, «per gli autoritratti storici, che spesso vengono chiesti in prestito da altri musei, ma ancora di più per quelli degli artisti viventi, i quali altrimenti imporrebbero una collocazione permanente come condizione per la donazione». La rotazione renderà la visita più vivace «specialmente per i fiorentini e per gli appassionati che, tornando al museo troveranno una selezione sempre diversa». Quanto ai tempi, sono strettissimi: «Stiamo passando agosto al lavoro – dice Schmidt – per progettare l’allestimento che, trattandosi già di una sezione monotematica, procederà per ordine cronologico. Dopo l’estate, sarà tutto pronto». Nel frattempo, gli autoritratti riposano sorvegliati da un angelo custode d’eccezione. Si chiama Demetrio Sorace, ricopre il ruolo di operatore tecnico, e lavora nei depositi degli Uffizi dal 1979, quando è entrato nel museo appena diciottenne, un semplice diploma di ragioneria in mano. «Li ricordo ancora – racconta – quei pomeriggi passati a compilare cartellini, sotto questa moltitudine di occhi che sembravano guardarmi dalle tele. A volte, nelle giornate di pioggia, l’effetto era inquietante». Oggi, i dipinti delle “retrovie” non hanno più segreti per lui. È lui ad accompagnare gli studiosi che fanno richiesta di visitare i depositi, destreggiandosi alla perfezione nella giungla di sale e salette. Ed è lui a svelare alcune delle curiosità più sorprendenti di questa collezione. Come l’incredibile opera di Johannes Gumpp, un pittore austriaco seicentesco che ha scelto di autorappresentarsi con un Doppio autoritratto allo specchio nel quale i due volti che guardano lo spettatore assumono espressioni diverse. E poi ci sono Charles Le Brun, il pittore del Re Sole, il tedesco Johann Zoffany che si mostra con una clessidra in mano e la scritta “Ars longa, vita breve”, il fiammingo van Houbraken che spunta da una ghirlanda fiorita o il “pittore turco” – svizzero, in realtà – Jean-Étienne Liotard con indosso i costumi esotici che, dopo un viaggio in Medio Oriente, gli regalarono la celebrità. Il grande inglese Joshua Reynolds, che impugna i disegni di Michelangelo in omaggio al suo maestro, o Mario Nuzzi, detto Mario de’ Fiori, che non sapendo dipingere volti umani, si fece aiutare da un amico.
Pochissime le donne, qui finalmente libere dalla definizione di figlie o mogli che spesso hanno scontato per tutta la vita: Angelica Kauffmann, la Robusti, Rosalba Carriera con in mano l’effige della sorella, una coloratissima Amelia Pincherle. Infine Pietro da Cortona, da cui tutto è iniziato: si dice che fu suo il primo autoritratto della collezione, donato al cardinale Leopoldo in cambio di un cofanetto di medicinali per la gotta, male che il pittore condivideva con la famiglia Medici.