la Repubblica, 14 agosto 2019
In Nuova Zelanda si può ricevere lo stipendio in denaro virtuale
La rivoluzione del “denaro virtuale” comincia a entrare nella vita reale. Dal primo settembre in Nuova Zelanda sarà infatti possibile ricevere lo stipendio e pagare le tasse in criptovalute, lo strumento digitale creato un decennio or sono, il primo fu il Bitcoin, e poi sviluppatosi in tutto il mondo con decine di valute di questo tipo. Finora nessun Paese le aveva tuttavia riconosciute per le transazioni ufficiali: il governo di Jacinda Ardern è il primo a legalizzarle formalmente. A tre sole condizioni: le “cryptocurrencies”, come si chiamano in inglese, devono retribuire lavoratori dipendenti, avere importo fisso e costituire parte integrante del salario. Un bollettino dell’ Inland Revenue Department,
l’ufficio delle imposte neozelandese, informa che con la medesima valuta digitale sarà possibile pagare le tasse. La decisione è stata presa perché nell’arcipelago del kiwi, l’uccellino simbolo nazionale, e degli All Blacks, la famosa squadra di rugby, «sta diventando sempre più comune per i lavoratori, in particolare quelli impiegati in aziende del settore, essere pagati con beni-cripto».
Fino a questo momento le criptovalute hanno suscitato forti dubbi da parte di Stati e istituzioni internazionali. Le Autorità europee di vigilanza notano che la natura relativamente anonima delle valute digitali le ha rese molto attraenti per organizzazioni criminali. L’assenza di un quadro giuridico preciso determina l’impossibilità di attuare un’efficace tutela legale e contrattuale degli utenti, che possono quindi trovarsi esposti a perdite economiche in caso di condotte fraudolente, fallimento o cessazione di attività delle piattaforme online di scambio presso cui vengono custoditi i portafogli digitali personali. Tali piattaforme di scambio corrono inoltre rischi operativi e di sicurezza, non essendo obbligate a garanzie di qualità del servizio, né a rispettare procedure di controllo interno, con la minaccia di frodi ed esposizione al cybercrime. Finora è stato anche impossibile convertire Bitcoin e altre criptovalute in moneta ufficiale.
Ma l’iniziativa della Nuova Zelanda potrebbe segnare una svolta. Rimane l’interrogativo di fondo: queste valute non sono fondate su autentiche caratteristiche economiche, per cui appaiono più esposte a bolle speculative. A parte i timori per la privacy collegati allo strapotere dei social network, il lancio in giugno di Libra, la criptovaluta di Facebook, ha fatto precipitare in pochi minuti la valutazione di mercato di Bitcoin. «Farsi pagare lo stipendio in questo modo è da pazzi», dice un operatore della City al Financial Times.
Ma evidentemente, se in Nuova Zelanda lo permettono, i pazzi aumentano.