Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  agosto 14 Mercoledì calendario

La politica mette in crisi 240mila operai

«Da quando è iniziata la crisi di governo è come se operai e immigrati fossero scomparsi. Nessuno parla più delle persone, che siano lavoratori o gente disperata in mare». Francesca Re David guida il sindacato dei metalmeccanici della Fiom e prova a strappare il canovaccio dell’attualità politica trasformatosi in poche ore in un coacervo di alchimie parlamentari. E se per i migranti c’è Richard Gere a riaccendere un minimo di attenzione, per gli operai coinvolti nelle crisi industriali uscire dal cono d’ombra sembra quasi impossibile.
Eppure in ballo tra esuberi, delocalizzazioni e ammortizzatori sociali scaduti o in scadenza, c’è il reddito delle famiglie, di intere comunità territoriali. I tavoli di crisi aperti al ministero dello Sviluppo Economico sono 158, i lavoratori coinvolti oltre 240 mila, le ore di cassa integrazione autorizzate in giugno erano 27,6 milioni aumentate del 42,6% sul 2018 (in crescita addirittura del 99,8% le ore di Cassa straordinaria e del 451,7% quelle in deroga). Appena due mesi fa Luigi Di Maio regalava cioccolatini ai giornalisti nella conferenza stampa per il salvataggio della Pernigotti (100 dipendenti nello stabilimento di Novi Ligure), ma quella rimane una delle poche crisi avviate a soluzione dal ministro e vicepremier pentastellato. Tutte le altre erano in salita anche prima dello strappo di Matteo Salvini, e ora rischiano l’implosione con il crollo del governo gialloverde.
L’emblema di questo limbo è il decreto varato dal Consiglio dei ministri il 6 agosto che sblocca 3,5 milioni per le emergenze industriali in Sardegna (Portovesme con la ex-Alcoa e Porto Torres); 30 per la Sicilia (Termini Imerese con Blutec in primis); 17 per la Whirlpool di Napoli; un milione per Isernia; introduce agevolazioni tariffarie per le industrie energivore (di nuovo la ex-Alcoa); fa un primo passo sui diritti dei rider; ripristina tutele legali “a scadenza” per i manager di ArcelorMittal che guidano l’Ilva, disinnescando così il rischio di chiusura dell’acciaieria. Tutte norme, però, scritte sull’acqua: il decreto, infatti, è stato varato “salvo intese”, dunque non è in Gazzetta Ufficiale e andrà eventualmente convertito in piena crisi di governo. Una precarietà assoluta che allontana gli investimenti, le multinazionali e che, in queste ore, ha spiazzato anche Giorgio Sorial, collocato da Di Maio alla guida della task force del Mise sulle crisi industriali. «Quel decreto oltretutto è solo una goccia nel mare – sottolinea Re David –. Va assolutamente confermato e, se possibile, ampliato. Non si parli di ordinaria amministrazione, qualsiasi tipo di governo ci sarà nei prossimi giorni dovrà mettere in sicurezza i lavoratori». Appello lanciato anche da Marco Bentivogli, leader della Fim-Cisl, sulle pagine de La Stampa : «L’industria italiana rischia davvero il colpo di grazia».
Nel “mare” evocato da Re David nuotano, a fatica, pesci grandi e meno grandi. L’Ilva (14 mila dipendenti, di cui 1.400 in cassa) che senza il ripristino dell’immunità penale per i manager, il 6 settembre potrebbe essere abbandonata da ArcelorMittal. La Blutec (ex-Fiat) di Termini Imerese, guidata da un commissario dopo i guai giudiziari della proprietà: in ballo il futuro di 700 operai senza salario da giugno e a cui il governo aveva promesso la proroga della cassa prevista per le aree di crisi complessa. L’Industria Italiana Autobus che, tra Avellino (dove gli ammortizzatori finiscono a dicembre) e Bologna, occupa 450 persone, e che era in attesa del partner industriale da affiancare a Invitalia, Leonardo e Karsan, promesso dal governo ma mai trovato. La ex-Alcoa (alluminio), ora SiderAlloys, nel Sulcis con i suoi 700 operai in attesa degli sconti sull’energia e della proroga della cassa in scadenza a fine agosto. La Embraco di Riva di Chieri (400 operai) in vana attesa da un anno della partenza del piano di rilancio dei nuovi proprietari (Ventures). La Whirlpool di Napoli, con la multinazionale Usa che continua a puntare alla dismissione della fabbrica di lavatrici (412 dipendenti), nonostante i 17 milioni promessi da Di Maio. La Bekaert di Figline Valdarno (fili di ferro, 318 addetti) che, dopo la “fuga” della multinazionale belga, ha ottenuto dal governo il ripristino della cassa per cessazione, ma non la proposta di una nuova proprietà. La Piaggio Aero (1.000 operai in Cigs con scadenza a dicembre) guidata da un commissario straordinario e in attesa di contratti da 700 milioni assicurati dal governo. E, dulcis in fundo (si fa per dire), la Fca di Pomigliano: per la fabbrica è stata chiesta la cassa integrazione da settembre, ma il governo non ha ancora dato una risposta.
«Il vento gelido che arriva dalla Germania non lascia prevedere nulla di buono per il settore auto», avverte Michele De Palma che segue l’automotive per la Fiom. In linea con l’allarme lanciato dalla nota unitaria di Cgil, Cisl e Uil: «Occorre che le forze politiche parlamentari pongano al centro gli interessi generali del Paese e del lavoro e non l’interesse particolare di breve respiro».