la Repubblica, 14 agosto 2019
Per il Quirinale non si può votare se si tagliano i parlamentari
Il suo pensiero il capo dello Stato lo aveva già fatto conoscere ai partiti della maggioranza: nel caso in cui il Parlamento dovesse approvare definitivamente la riforma costituzionale che taglia il numero dei parlamentari sarebbe impossibile sciogliere le Camere prima di sei, sette mesi. Per questo il colpo di teatro con cui Matteo Salvini ha annunciato la disponibilità a votare quella riforma, sostenendo che poi si potrebbe andare subito alle urne ha lasciato decisamente sorpreso Sergio Mattarella. E non certo in positivo. Non solo perché il Quirinale non era stato avvertito, ma soprattutto perché la strada indicata dalla Lega resta improponibile, una forzatura non accettabile.
Le ragioni della posizione del Colle sono molteplici. Prima di tutto l’articolo 138 della Carta prevede che se una riforma costituzionale viene approvata senza una maggioranza dei due terzi in entrambe i rami del Parlamento, entro tre mesi un quinto dei deputati o dei senatori, o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali possono chiedere il referendum confermativo. È evidente che se si sciogliessero le Camere i parlamentari decadrebbero e verrebbe leso il loro diritto di chiedere la consultazione.
E non vale neanche il precedente che il leghista Roberto Calderoli ha suggerito a Salvini per sostenere la sua tesi. Si tratta della riforma costituzionale approvata il 16 novembre del 2005, la cosiddetta “devolution” voluta dal centrodestra e sulla quale si tenne un referendum confermativo alla fine del giugno del 2006 (che la bocciò). In mezzo, nell’aprile del 2006, ci furono le elezioni politiche, dunque si era passati ad un’altra legislatura. Ma intanto i parlamentari avevano avuto a disposizione i tre mesi di tempo per chiedere la consultazione. Ma quel che più conta agli occhi del Colle è che quella riforma riguardava principalmente i poteri delle Regioni e non incideva così profondamente sull’assetto delle Camere come invece fa la legge, portata avanti dai grillini, che riduce i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. Un taglio che comporta necessariamente anche una ridefinizione dei collegi elettorali, operazione per la quale servono almeno due mesi. Ecco che si arriva così a 5-6 mesi se tutto va bene. Senza contare che la nuova configurazione del Parlamento potrebbe rendere incostituzionale l’attuale legge elettorale (come già molti esperti ritengono) e ciò vorrebbe dire dover mettere mano al cosiddetto Rosatellum. Bisognerebbe trovare un nuovo accordo tra le forze politiche che porterebbe via mesi, ad essere ottimisti.
Ma il progetto di Salvini non è digeribile anche perché punterebbe a far entrare in vigore la riforma nel 2024. L’articolo 4 della legge teoricamente lo consentirebbe, perché prevede che se le Camere vengono sciolte entro sessanta giorni dalla sua entrata in vigore, il taglio si applica dalla legislatura successiva. Ma è difficile che un ex giudice della Corte Costituzionale qual è Mattarella possa permettere che una riforma così importante approvata dal Parlamento venga messa nel cassetto per cinque anni.
La strada indicata dalla Lega comunque sembra destinata ad interrompersi già in Parlamento: se Conte dopo le sue comunicazioni in Senato, il 20, si dimetterà, non sarà più possibile votare nulla senza un accordo sul calendario votato all’unanimità dai capigruppo.
Lo stupore di Mattarella per la proposta inconciliabile con il ritorno alle urne: sciogliere le Camere lederebbe il diritto a chiedere il referendum