Corriere della Sera, 14 agosto 2019
Un memoriale per Nellie Bly
«Prendete una donna sana fisicamente e mentalmente, rinchiudetela, tenetela inchiodata a una panca per tutto il giorno, impeditele di comunicare, di muoversi, di ricevere notizie, fatele mangiare cose ignobili. In due mesi sprofonda nella follia».
Fermò il fiato il primo reportage di Nellie Bly dal «Women’s Lunatic Asylum» di Blackwell’s Island, a sud-est di Manhattan. Nessuno aveva mai osato prima fingersi demente per introdursi nella tana nera di un manicomio. Col rischio di fare una brutta fine in quella terra dominata dalla prepotenza. Anzi, nessuno ci aveva mai pensato, prima che quella ragazza di ventidue anni così decisa e sfrontata convincesse il «New York World» diretto dal mitico Joseph Pulitzer a pubblicare quelle cronache dagli inferi che, raccolte nel libro «Dieci giorni in manicomio» spinsero le autorità americane addirittura a cambiare le leggi sui ricoveri coatti e il trattamento dei pazienti.
Fu la più grande della sua generazione, Nellie Bly. E come racconta Nicola Attadio in Dove nasce il vento. Vita di Nellie Bly, a free American girl, fu la prima a rifiutare i ruoli delle giornaliste delegate a occuparsi di scarpe, gioielli, giardinaggio. La prima a rompere gli schemi. La prima a battersi sul terreno dei reportage e delle inchieste. Fino a percorrere mezzo Messico sfidando ogni pericolo: «Mi dimetto dal giornale e come freelance mi paghi per i pezzi che ti mando, tu risparmi un bel po’ di soldi ma mi finanzi il viaggio». La prima a farsi arrestare per denunciare i soprusi sul detenute. E ancora la prima a sfidare davvero, in treno, a cavallo, in barca e a dorso d’asino, Jules Verne e il suo Giro del mondo in 80 giorni. Anzi, i suoi resoconti ebbero un successo tale che un milione di lettori parteciparono alla lotteria inventata da Pulitzer su chi si fosse più avvicinato all’ora del ritorno a New York, avvenuto dopo 72 giorni, 6 ore, 11 minuti e 14 secondi.
Il reportage dentro il manicomio, però, resta unico. Ed è bello sapere che nella Grande Mela c’è chi è pronto a tirar fuori mezzo milione di dollari per ricordare tanti anni dopo con un memoriale quell’impresa straordinaria che cambiò per sempre il modo di vedere i «matti».