Varie, 14 agosto 2019
In morte di Nadia Toffa
Michela Marzano su la Repubblica
Dicevi che nel tuo vocabolario non esisteva la parola “mollare”. Dicevi che la felicità ce l’avevi “qui e ora”.
Dicevi di non vergognarti di portare la parrucca, e che era anche più bella dei tuoi capelli. Dicevi persino che non avevi più paura di morire. Ma come facevi, Nadia? Dove trovavi la forza per sorridere sempre nonostante la chemio e il viso gonfio? E il coraggio di ripetere che la vita era una “figata” nonostante la malattia e il dolore? Eri una guerriera, Nadia. Questo sì. Una di quelle figure leggendarie di cui si legge nelle fiabe e che, di solito, nel mondo reale si fa fatica a incontrare. Ormai lo sanno tutti che eri eccezionale, e che i tuoi selfie e le tue parole sono stati un esempio per tutti coloro che lottano quotidianamente contro il cancro o qualche altra terribile malattia. Ormai l’hanno capito tutti che ci hai insegnato a batterci, e a lottare, e a volere, e a non smettere mai di crederci. Se ce la fa lei, perché io non potrei? Chissà quante sono le persone che lo hanno pensato e se lo sono detto, seguendoti sui social, leggendoti, osservandoti indossare ogni giorno una parrucca colorata, oggi che l’immagine ideale del corpo porta chiunque a vergognarsi di non essere “abbastanza”, oggi che l’imperativo della performance ci spinge tutti a eccellere oppure a scomparire. È anche per questo che eri amata, Nadia, e rispettata; nonostante le assurde polemiche che erano nate quando avevi pubblicato Fiorire d’inverno, e c’era stato chi non aveva voluto saperne di rendere onore al tuo coraggio.
Perché era di questo che si trattava, Nadia, vero? Il coraggio di andare avanti e di essere se stessi. Anche quando dicevi che il cancro non era una “sfiga”, ma un “dono”.
Nonostante il dolore non sia mai davvero un dono, e non sia vero che basta “volere” per “potere”, e ci siano tante persone che vogliono ma non possono, si battono e vengono sommerse, ce la mettono tutta e sono sconfitte.
Ma ora che non ci sei più, che cosa importa di tutto questo?
Delle assurde polemiche non resterà nulla – a parte un po’ di amaro in bocca per chi ha anche solo accennato a strumentalizzare le tue battaglie, non facendocela proprio a sostenere la potenza del tuo sorriso. A differenza invece del messaggio che ci hai lasciato, che è un seme di speranza in un’epoca in cui ci si lamenta spesso a vanvera di tutto, e non si sanno cogliere quegli attimi di gioia che la vita, nonostante tutto, riserva a tutti. Ciò che resta di noi, in fondo, è proprio l’esempio che si è dato e le persone che siamo stati, vivere tutto sulla propria pelle e indicare il cammino. E questo, Nadia, tu sei stata capace di farlo meglio di tanti altri. Non perché la malattia la si possa vincere; non perché la salute dipenda da noi; non perché nell’esistenza accada sempre e solo quello che si desidera.
Al contrario. Nella vita le cose succedono senza chiederci il permesso, talvolta è proprio ciò che si vorrebbe più di qualunque altra cosa che non arriva mai, spesso si è vittime innocenti di eventi e episodi e incidenti su cui non si ha alcuna presa. Ma questo non significa che ci si debba abbandonare al flusso delle cose o che si debba perdere la speranza o che si possa “mollare”. Essere resilienti, come si dice oggi, non significa accettare il mondo come va o farsi una ragione del dolore. Il dolore è inaccettabile. Sempre.
Ma ognuno di noi ha la possibilità (e la capacità) di cercare di trasformarlo in qualcos’altro, di farne “un’occasione”, proprio come dicevi tu, utilizzandolo magari per cambiare strada oppure comunque modo di vedere le cose, e ascoltare gli altri, ed entrare in empatia con loro, e accettarli per quello che sono, e riconoscersi come si è, anche se la maggior parte delle volte si è fragili e malati e incapaci e malconci. Il tuo, Nadia, non è mai stato un messaggio di onnipotenza del tipo: combatti e vincerai. Il tuo è, e resterà per sempre, un messaggio di speranza: battiti e vivi. Perché la vita è fatta di attimi e nessuno sa quanti ce ne saranno ancora. E allora è inutile mettersi su “pausa”, meglio continuare, meglio andare avanti, meglio vivere. «Voi cosa combinate di bello?» chiedevi sempre ai tuoi follower. Certo, tu sei stata davvero una grande guerriera. Non tutti abbiamo il tuo coraggio e la tua forza.
Ma adesso che non ci sei più, l’unico modo per renderti omaggio è sorridere, serbando nel nostro cuore l’immagine del segno di vittoria che ci regalavi nei tuoi scatti.
Aldo Cazzullo sul Corriere
E così, dopo i giorni dell’odio, sono arrivati quelli del cordoglio. Da Fiorello a Salvini, tutti si sono espressi in morte di Nadia Toffa. In realtà, una delle prime cose che si impara facendo i cronisti – e non gli opinionisti – è questa: la reazione al dolore, al male, alla morte, è un mistero. Non si sa mai come la vittima reagirà. E nessuno ha il diritto di giudicarla; ha solo il dovere di aiutarla.
L’ultima fotografia che ha scelto di condividere la mostra mentre la sua cagnolina le lecca la guancia. Lei, come al solito, sorride. Ieri è morta Nadia Toffa, inviata e conduttrice delle Iene. Lo scorso 10 giugno aveva compiuto 40 anni e proprio quel giorno li aveva definiti «ricchi di emozioni», stupendo ancora una volta tutti.
La notizia che nessuno avrebbe voluto leggere è arrivata di mattina, dalla redazione del programma di cui faceva parte dal 2009. «Hai combattuto a testa alta, col sorriso, con dignità e sfoderando tutta la tua forza, fino all’ultimo», si legge nel commento. «Il destino ha deciso di colpire proprio te, la nostra Toffa, la più tosta di tutti, mentre qualcuno non credeva alla tua lotta... tu sorridevi. Sei riuscita a perdonare tutti, anche il fato, e forse anche il mostro contro cui hai combattuto: il cancro... Niente per noi sarà più come prima».
Il funerale di quella che i suoi amici chiamavano una «dolce guerriera» sarà il 16 agosto, a Brescia, la sua città. Lo celebrerà Maurizio Patriciello, il parroco simbolo della lotta alla Terra dei fuochi, che Toffa aveva sostenuto con il suo lavoro d’inchiesta. «Nadia ha voluto che fossi io a celebrare il suo funerale – ha scritto su Facebook il parroco —. Vado a Brescia con grande riconoscenza. Ho il dovere di portarle tutto l’affetto e la gratitudine degli abitanti della Terra dei fuochi». Fino a quel giorno, la camera ardente sarà allestita al teatro Santa Chiara, sempre a Brescia. La notizia della morte di Nadia Toffa è di quelle che fanno male, un dolore condiviso. Un trasporto collettivo che si era avvertito quando era stata fermata dal suo primo malore, nel dicembre del 2017.
Era a Trieste per un servizio del programma di cui restava un’inviata anche se, dal 2016, era anche conduttrice, quando aveva perso i sensi. Le sue condizioni erano state definite subito gravi e per due settimane era rimasta ricoverata. Già si parlava di un tumore. Dopo qualche tempo, aveva raccontato l’episodio così: «All’inizio ho pensato fosse successo un incidente perché sentivo un’ambulanza, ma dopo un po’ mi sono resa conto che forse sentivo la sirena un po’ troppo vicina. Quindi ho realizzato e mi sono detta: “Vuoi vedere che è la mia ambulanza?”».
L’ironia, la grinta e l’energia non hanno mai abbandonato la conduttrice e questo, per paradosso, ha disorientato e persino infastidito qualcuno. Toffa, disobbediente alla liturgia della malattia che prevede il silenzio e magari la ricerca di un sentimento di pietà nel prossimo, aveva spinto sul pedale della franchezza e dell’ottimismo, spiegando di avere un cancro in tv, nel febbraio del 2018. «Voglio condividere con voi con sincerità quanto è successo», aveva detto, spiegando: «Penso non ci sia assolutamente niente di cui vergognarsi, anzi. Ho solo perso qualche chilo, non mi vergogno neanche del fatto che sto indossando una parrucca, questi non sono i miei capelli». Lì erano partiti i commenti negativi, sempre sommersi dall’amore diffuso per la conduttrice, ma comunque inaccettabili e dolorosi. Si erano poi moltiplicati quando aveva pubblicato il suo libro, «Fiorire d’Inverno». Lì aveva definito il cancro un dono, trovandosi poi nella condizione di dover spiegare il suo personale sentimento: scegliere di vedere qualcosa di tanto tremendo come, anche, un’occasione per crescere.
Allo stesso tempo, aveva rivendicato il sacrosanto diritto di parlare della malattia come meglio credeva, continuando a condividere messaggi pieni di speranza e positività che erano una sua caratteristica da sempre e che non sarebbe stato certo il tumore a cancellare.
Aveva denunciato gli hater che sul web le auguravano la morte, aveva dato coraggio a chi le aveva chiesto aiuto, aveva lasciato il suo fidanzato pubblicamente, perché non le era stato vicino durante le cure e spiegando che chi ti ama non fa così. Aveva ringraziato la mamma che era sempre al suo fianco, la sua famiglia, i suoi amici. Tutto, sempre, senza dimenticare il sorriso. Lo ha mostrato anche quando era più affaticata, perché lei era fatta così e non come gli altri avrebbero voluto che fosse.