Corriere della Sera, 14 agosto 2019
Anne Hamilton, romanziera italiana anonima
WIMBLEDONX
Dietro lo pseudonimo di Anne Hamilton, immaginaria autrice di Fuga da Parigi (edito da La nave di Teseo) si nasconde una italianissima scrittrice esordiente che ha preferito nascondersi per non doversi sottomettere alla cerimonia delle presentazioni. Chi ha letto il nuovo e molto divertente libro di Antonio Manzini, Ogni riferimento è puramente casuale, nel quale l’annoso rito viene descritto come una deprimente e fastidiosa incombenza di marketing da strapazzo, può ben comprendere la scelta di anonimato; in realtà, però, l’autrice l’ha spiegata in modo molto più pragmatico: «Non saprei dove lasciare il mio cane, maleducato e isterico».
Colpa dunque di un cane indisciplinato se non si può venire a sapere qualcosa di più dell’autrice né perché per il suo esordio abbia scelto di raccontare una storia molto movimentata e complessa, di opere d’arte trafugate in tempo di guerra (la Seconda), sparite e poi ricomparse molto tempo dopo: una storia che parla di avidità, di tradimenti, di inganni ma anche di amore. E poiché nello scorrere delle pagine si ha di tanto in tanto la fuggevole sensazione che il racconto vagamente si colori di vissuto vero, piacerebbe anche avere o non avere conferma – come sempre il lettore desidererebbe – di questa impressione.
Secondo quel che dice il titolo, l’azione si svolge principalmente a Parigi e, in subordine, a New York e Buenos Aires, e le tre città, sfondo della narrazione, non hanno affatto un’aria da cartolina illustrata ma sono descritte con la precisione di chi vi ha davvero vissuto. Siamo in tempo di guerra e la capitale francese è occupata dai tedeschi. Molti ebrei sono già scappati, forse anche di più sono stati rastrellati. Daniel Meyer, invece, noto gallerista esperto d’arte, di coscienza non adamantina, non si è mosso. È convinto che la sua posizione sociale, il suo matrimonio con la figlia di ricchissima famiglia argentina lo proteggano: e quando viene a sapere di essere finito sulla lista delle persone da arrestare, come un piccolo ebreo qualunque, lo choc e l’incredulità sono grandi, presto però soppiantati dal terrore.
Ed ecco la fuga da Parigi di Meyer, della sua non fedelissima e molto viziata moglie Hortensia, della loro figlia e della bambinaia. Dietro di sé il gallerista lascia alcuni orribili crimini che è difficile definire minori: l’essersi rifiutato di intercedere, quando ancora avrebbe potuto, per i genitori del suo assistente imprigionati a Drancy, il campo di transito per Auschwitz, e l’aver rivelato ai tedeschi – per ingraziarseli— in quale banca un ricco collezionista ebreo rifugiatosi all’estero aveva nascosto l’intera sua raccolta... Ma lascia anche, ben nascosta sotto il pavimento della galleria, una cartella piena di pregiati disegni che i tedeschi gli avevano concesso come osso al cane, quale ricompensa per il suo tradimento.
Poi, come sempre succede, ci si mette il destino a complicare la vicenda. Prima di fuggire a sua volta, l’assistente per caso trova la cartella nascosta sotto le piastrelle e, in odio al datore di lavoro che non ha mosso un dito per salvare i suoi genitori, se ne prende un paio. E poiché i percorsi dei profughi sono per quasi tutti gli stessi – sud della Francia, Spagna, Portogallo e poi America – alla prima tappa l’assistente – si chiama Jean Louis – incontra il suo ex datore di lavoro con famiglia al seguito. E si innamora per sempre della capricciosa Hortensia.
Altre trecento pagine piene di persone, avvenimenti e sì, anche colpi di scena ci vorranno per arrivare alla conclusione, anni dopo la guerra. All’autrice va riconosciuto il merito di essere riuscita a controllare così tanta materia conducendo felicemente in porto la vicenda senza mai perdere alcun filo e scrivendo – cosa difficile per esordienti e veterani – un buon finale.