il Fatto Quotidiano, 13 agosto 2019
Macri battuto dal peronista Fernández
Le primarie che si sono svolte domenica in Argentina hanno decretato il trionfo del kirchnerismo guidato da Alberto Fernández con il 47,36% dei voti, dato superiore, quindi, anche alle previsioni che davano una parità tra il Frente de Todos (nuovo nome del gruppo kirchnerista) e Juntos por el cambio (movimento dell’attuale governo) che ha preso il 32,23%. Pur trattandosi solo di una tornata che serve a definire chi, il prossimo 27 di ottobre parteciperà alla corsa per la poltrona della Casa Rosada, il distacco di ben 15 punti azzera le possibilità dell’attuale presidente Macri di continuare il mandato. La polarizzazione del voto si è rivelata più grande delle aspettative, visto che il “terzo incomodo”, l’ex ministro ddell’Economia del kirchnerismo, Roberto Lavagna, si deve accontentare di un misero 8,34% e il suo collega, l’ultraliberista Luis Espert, è arrivato a stento a superare la soglia di sbarramento. Se analizzato a livello locale il dato è sorprendente: nella Provincia di Buenos Aires, l’ex ministro dell’Economia di Cristina Kirchner, il trotzkista Axel Kicillof, sfiora il 50% dei voti sulla candidata macrista, l’attuale governatrice Eugenia Vidal. Per non parlare della patagonica Santa Cruz, dove – alle elezioni – la sorella dell’ex presidente Kirchner, Alicja, si è confermata governatrice con quasi il 60% dei voti. La contundente vittoria si può leggere anche come la prevalenza della cosiddetta “maggioranza silenziosa”, gli indecisi, che alla fine hanno votato per protesta contro Macri. Viene però da chiedersi come mai alla fine il peronismo (di cui il kirchnerismo è rappresentante diretto) nonostante i suoi mandati lascino il Paese in situazioni disperate, ritorni sempre al potere.
Eppure gli attuali indici dell’economia argentina, nonostante i macroscopici errori governativi, sono in ripresa e il “rischio Paese” pare un ricordo: oltretutto, specie nella Provincia di Buenos Aires, il macrismo ha sanato i bilanci, intaccato il sistema di corruzione che coinvolge anche le forze di polizia e costruito infrastrutture che hanno fatto arrivare acqua, luce, gas e rete fognaria in molte zone nelle quali, nei suoi 13 anni di potere, il kirchnerismo non aveva fatto nulla. “È un giorno molto triste per noi, ed è incredibile pensare che possano tornare quelli che hanno saccheggiato il Paese” confida al Fatto un alto funzionario governativo. Macri – che evidentemente viene visto come il responsabile dell’inflazione che ha portato all’impoverimento dell’Argentina, nella quale, come nel 2001, arriverà qualcuno con la “bacchetta magica” a risolvere la situazione – ispira invece fiducia ai mercati. La sua dura sconfitta infatti ha fatto crollare la Borsa di Buenos Aires del 10%. Peggio fa il “peso”: la moneta argentina viene scambiata al 26% in meno rispetto alla scorsa settimana. E sono in molti a pensare che Fernández costituisca un cambio nel kirchnerismo. Bene hanno fatto gli strateghi del movimento spagnolo Podemos a consigliare a Cristina di rimanere in disparte. Ma, visti i risultati, molti osservatori pensano che le sorprese arriveranno prima di ottobre: la storia della democrazia argentina insegna che nessun candidato non peronista termina il mandato.